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SENATO, IL PARADOSSO DEL TACCHINO


Il tacchino, naturalmente, è il Senato della Repubblica. Con la vittoria del No al referendum ha salvato penne, carne e grasso. Il paradosso è che il tacchino rischia di trasformarsi in cappone. Il tempo per un esame "normale" (sia pure in seconda lettura) della legge di stabilità ci sarebbe stato tutto. Tutto il tempo per un esame vero del testo e per il suo ritorno eventualmente alla Camera per l'okay definitivo.

Invece, se verrà votata oggi la fiducia al governo, il Senato sarà l'unico organo costituzionale a subire la furia iconoclasta del premier Matteo Renzi, dopo la sconfitta. Questo è tanto più vero dopo il forte stop del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla provocazione di andare a elezioni immediate, senza nemmeno attendere la decisione della Consulta sulla legge elettorale.

Il capo dello Stato ha imposto - giustamente - il rispetto delle regole di una vita istituzionale ordinata. Prima ancora della Consulta questo vale per il Parlamento dove si esercita la sovranità popolare secondo i modi previsti dalla Costituzione.

Il referendum ha sentenziato che il Senato mantiene intatte tutte le sue prerogative di bicameralismo perfetto. Quindi la cosiddetta "fiducia tecnica" a un governo dichiaratamente dimissionario, anche se stabilita secondo le regole interne del Senato stesso (con la decisione ieri della Capigruppo), sottomette a una forzata contrazione temporale e a un non- esame di merito l'atto legislativo per eccellenza, la legge di Stabilità, che condizionerà la vita dello Stato e dei cittadini, per tutto il prossimo anno.

Così il governo Renzi con le sue scelte di politica economica sopravviverà a se stesso e condizionerà il suo successore. E avrà la sua rivincita sul Senato che voleva eliminare come seconda Camera politica. Il Senato a sua volta può aver accettato, avendo tirato il fiato, dopo lo scampato pericolo, con l'occhio tutto rivolto alle dinamiche interne al Pd, partito di maggioranza relativa.

Ma i ponti d'oro per il premier che si vuole dimettere potrebbero costare all'istituzione, più delle mance della manovra. Non è un buon precedente per il futuro. Il Senato dimostra così che ha salvato gli scranni senatori, ma non il suo ruolo nell'architettura istituzionale. Anche, e forse addirittura di più, se dalle sue fila, dovesse provenire il nuovo capo del governo, cioè il presidente di Palazzo Madama, Piero Grasso.

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