DAVIDE, GOLIA E LA CONFERENZA DI MONACO
Maria Antonietta Calabrò
Parlando dell’Ucraina, il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, in un’intervista a Vida Nueva, ha ribadito il magistero dalla Chiesa cattolica che ritiene possibile il “triste ricorso alle armi per legittima difesa”. Per la Chiesa non ci sarà mai più una guerra giusta, o peggio santa, invocata nel nome di Dio (lo ha detto chiaramente il Papa nella videocall con il Patriarca russo Kirill), ma l’aggredito ha diritto di difendersi con le armi.
C’è un pensatore cristiano che ha affrontato questi problemi quasi novant’anni fa, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, criticando apertamente la Conferenza di Monaco del 29-30 settembre del 1938, cioè l’ accordo che portò all’annessione di vasti territori della Cecoslovacchia alla Germania di Hitler con il beneplacito delle potenze democratiche europee Francia e Inghilterra, che perseguirono una politica di appeasement, sperando in una pace duratura.
Castelvecchi manda in questi giorni in libreria I Cristiani e la pace, un testo di Mounier che si dimostra quanto mai necessario leggere, dopo l’ inizio della guerra della Russia contro Kiev. “Credo che la crisi ucraina rilanci seriamente l’attualità delle riflessioni di Mounier, con il rigetto sia del bellicismo sia di un astratto pacifismo e, soprattutto che ci aiuti a leggere bene l’articolo 11 della Costituzione, risalendo alle culture fondanti che l’hanno generata e all’esperienza della Resistenza europea che ne è alla base”, afferma Stefano Ceccanti, professore ordinario di diritto pubblico comparato, costituzionalista, cattolico democratico, autore della prefazione alla riedizione del testo di Mounier.
L’interrogativo di partenza di Mounier in termini etico-politici, ma che ha anche conseguenze giuridiche, è come reagire al Male, alla volontà di potenza che si espresse a Monaco e che trovò allora le democrazie europee del tutto impreparate. Oggi la situazione sembra diversa, c’è una maggiore consapevolezza ma i nodi sono gli stessi. “Ovviamente non si può che essere contro i bellicisti, ma questo significa che dobbiamo aderire a una forma di ideologia pacifista, che punta su un tipo di pace che assomiglia a una resa?”, si chiede Ceccanti.
La risposta di Mounier è che la cultura politica che si è espresse nel secolo scorso alla vigilia del secondo conflitto mondiale da parte delle democrazie occidentali fu quella di un “pacifismo dei tranquilli”, una “mediocrità” e “un’assicurazione contro ogni rischio”, “un’utopia da sedentari”. “Parolin l’ha chiarito bene per la situazione attuale: l’invio di armi è legittimo e non è affatto in alternativa al perseguimento di un’iniziativa diplomatica.”
Spiega Ceccanti: “Anche per Mounier bisogna prendere atto della distanza che separa ‘il realismo cattolico e una certa ideologia pacifista’, giacché ‘al di fuori dei sentieri della santità individuale’, dopo aver esperito seriamente tutte le alternative possibili, ‘può arrivare il momento in cui tali mezzi si rivelano definitivamente inefficaci” e allora, cito Mounier, “il cattolicesimo ammette la legittimità della violenza al servizio della giustizia”. Fermo restando che nel nostro lessico odierno avremmo usato non la parola ‘violenza’ ma ‘forza’ (perché la seconda comporta un nesso col diritto, la prima no)”.
È passato quasi un secolo e bisogna anche chiedersi che cosa è cambiato dai tempi di Mounier, nell’elaborazione del pensiero cattolico e del Catechismo, perché dai tempi di Mounier, la dottrina sociale della Chiesa ha subito più di un importante aggiornamento. “Sembra emergere oggi - spiega Ceccanti - un dubbio maggiore rispetto al canone della proporzionalità, essendo cresciuta la potenza distruttiva dei mezzi militari, e sembra che la retta intenzione possa estendersi anche all’ingerenza umanitaria”.
C’è un altro punto importante, che è stato oggetto di dibattito pubblico nel caso dell’Ucraina. “Il paragrafo 500 del Compendio - aggiunge il professore - condiziona l’esercizio della legittima difesa anche alla sua ragionevole efficacia: essa va praticata quando “ci siano fondate condizioni di successo”, cosa che ovviamente mira ad evitare forme di testimonianza estrema. Non si può tuttavia leggere questa osservazione in modo semplicistico, come se la valutazione fosse limitata al solo momento di un’aggressione e alle sue più immediate conseguenze: in tal modo sarebbe ammessa solo una resa senza condizioni.”
Un aiuto viene a questo proposito proprio dalla Bibbia. “La Scrittura, ricorda Ceccanti, ci presenta il caso di Golia, molto più alto e forte, ma con una capacità visiva inferiore a colui che lo sconfisse (Davide). Chi vede più lontano sa che chi appare soccombente a breve non lo è necessariamente alla fine del percorso".
In sostanza, nello stesso dilemma si dibatté anche Winston Churchill, prima dello storico discorso del 4 giugno 1940 alla Camera dei Comuni. Ma se non ci fosse stata la sua “visione” oggi vivremmo in un mondo molto diverso, in un mondo in cui sarebbero ancora esposte le bandiere naziste.
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