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LA SVIZZERA: QUELLO VATICANO E’STATO UN GIUSTO PROCESSO. E NON C’È’ IL PAPA RE.

di Maria Antonietta Calabrò


14marzo 2024


Non appena partite le indagini vaticane sull’ “investimento immobiliare a Londra, effettuata con finalità speculative e finanziato, in parte, anche con denaro nella disponibilità della Segreteria di Stato e da questa posseduto con vincolo di scopo per il sostegno delle attività con fini religiosi e caritatevoli del Santo Padre (cosiddetto Obolo di San Pietro)”,  il 19 dicembre 2019, il Promotore di Giustizia ha presentato alla Svizzera una domanda d’assistenza giudiziaria nell’ambito del procedimento penale avviato nei confronti di alcuni imputati (Mincione, Crasso, Torzi e Tirabassi) finiti ne per titolo di abuso d’autorità ,peculato, corruzione, riciclaggio di denaro, autoriciclaggio e impiego di proventi di attività criminose e, all’epoca anche per associazione a delinquere . Con la sua domanda di assistenza, l’autorità rogante aveva chiesto, tra l’altro, l’acquisizione della documentazione concernente le relazioni bancarie di un imputato e delle società a lui riconducibili, nonché il sequestro dei valori ivi depositati, domanda alla quale il Ministero pubblico della Confederazione (MPC), con decisioni dell’anno successivo,  5 ottobre 2020, ha dato seguito positivamente. Uno degli indagati ha interposto ricorso contro tale decisione dinanzi alla Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale, postulandone l’annullamento, con conseguente dissequestro dei conti e  della rogatoria.

La Corte federale dei reclami penali, massimo organo giurisdizionale svizzero, in questi casi, il 21 febbraio 2021, con sentenza 118/2021 ha respinto il ricorso.

E fin qui tutto noto, sia pur nulla pubblicizzato dagli indagati, nel frattempo diventati imputati e nel dicembre 2023, condannati in peimo grado a svariati anni di carcere. E al mantenimento delle misure di sequestro dei beni (che sfiorano i cento milioni di euro, cioè più o meno l’equivalente della perdita subita dal Vaticano nel cosiddetto “affare di Londra”).

Quello che finora non era noto sono le motivazioni in base alle quali la Corte federale ha dato ragione al Vaticano in base alla considerazione che nello Stato più piccolo del mondo sono in vigore tutte le norme che assicurano “il giusto processo” e il rispetto di quanto stabilito dalla CEDU, la Corte europea per i diritti dell’uomo.

E questo contenuto della decisione contrasta con la narrativa pedissequamente propagata dagli avvocati difensori dei condannati per tutta la durata del processo e fino alla sentenza di condanna letta dal Presidente del Tribunale vaticano Giuseppe Pignatone . E che sarà riproposta in un evento organizzato giovedì 14 marzo 2024 a Roma dalle difese degli imputati .

I giudici richiamano le doglianze degli imputati. E le riassumono così: “Il ricorrente sostiene innanzitutto che la domanda di assistenza giudiziaria vaticana sia irricevibile giusta l’art. 2 lett. a e d AIMP. A suo dire, l’assenza di una raccolta completa e facilmente consultabile delle leggi penali e processuali in vigore nello Stato vaticano comprometterebbe l’accessibilità alle stesse, ciò che porrebbe in discussione il rispetto del principio della legalità ai sensi degli art. 6 e 7 CEDU. Citando alcune norme estere, egli afferma che i principi fondamentali relativi alla qualità del giudice e all’equità del procedimento non sarebbero minimamente rispettati nello Stato rogante, «dove il Sovrano adotta le leggi, le attua e infine le applica per il tramite di magistrati da lui selezionati e poi (potenzialmente) scelti, di volta in volta, in qualsiasi momento della procedura, a propria discrezione». Parimenti priva delle necessarie garanzie sarebbe la procedura, «sia perché obsoleta e priva delle garanzie che ogni Stato moderno assicura agli imputati, sia perché prevede la possibilità di deferimento ad un Tribunale d’eccezione, sia perché consente condanne anche in assenza di basi legali, sia perché non garantisce la parità di trattamento fra gli indagati di un medesimo procedimento». L’assenza di garanzie di un processo equo conseguente alla struttura istituzionale e legislativa vaticane sarebbe ancora più problematica nella situazione concreta, in cui il Sommo Pontefice avrebbe addirittura la veste di parte lesa, nella misura in cui oggetto della «depredazione» sarebbe l’Obolo di San Pietro.”

Ma poi scrivono: “Per quanto attiene all’accessibilità della legislazione penale estera, basti rilevare il fatto che la Città del Vaticano ha recentemente pubblicato, attraverso la «Libreria Editrice Vaticana», un volume ufficiale intitolato «Codice penale vaticano» curato da Juan Ignacio Arrieta, Segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, e da Maia Luisi, officiale dello stesso Dicastero. Esso è il risultato dell’integrazione del Codice penale italiano del 1889, conosciuto anche come «Codice Zanardelli» (v. VINCIGUERRA [curatore], I codici preunitari e il Codice Zanardelli, 1999; IDEM [curatore], Il Codice penale per il Regno d’Italia, 2009), vigente in Vaticano dal 1929, con le numerose modifiche promulgate fino ad oggi (v. ARRIETA, Codice penale vaticano, 2020, pag. 5 e segg.; sul diritto penale vaticano cfr. anche DALLA TORRE, Lezioni di diritto vaticano, 2a ediz. 2020, pag. 165 e segg.). Contenendo tale opera la normativa penale vigente nello Stato della Città del Vaticano, il principio della legalità è ossequiato. Senza dimenticare che le più recenti riforme legislative sono disponibili anche sul sito internet ufficiale dello Stato della Città del Vaticano (v. www.vaticanstate.va/it/norm-penale-amministrativa.html). Certo non si può nascondere che per quanto riguarda la recente edizione del Codice penale vaticano, la sua consultazione attraverso i tradizionali canali bibliotecari e librari non si rivela attualmente molto facile perlomeno in Svizzera, ma non vi è nessuna ragione di ritenere che non sia accessibile alla difesa dell’imputato nella Città del Vaticano. Per tacere del fatto che il Codice Zanardelli è anche disponibile in stampa anastatica nella predetta pubblicazione del 2009 a cura di Vinciguerra. Seppur in maniera certamente perfettibile, il requisito dell’art. 7 CEDU (nulla poena sine lege), anche grazie al fatto che l’articolato sistema delle fonti penali vaticane è desumibile dalla Legge del 1. ottobre 2008 n. LXXI (sulle fonti del diritto), non è dunque violato (v. anche LEONCINI, Il processo penale vaticano: la «riscoperta» del Codice Finocchiaro-Aprile … rivisitato, Legislazione penale 4/2013, pag. 1117 e segg., 1126 e seg.) e la relativa censura va respinta. Poi per riguarda la critica al sistema giudiziario e alla procedura penale dello Stato vaticano, “il ricorrente omette di considerare che il foro secolare del Vaticano, pur basandosi sul Codice di procedura italiano del 1913 (v. LEONCINI, op. cit., pag. 1117 e segg.; DIDDI, I novant’anni del Codice di procedura penale dello Stato vaticano, Diritto e religioni 1/2019, pag. 169 e segg.), è stato oggetto di importanti riforme e di approfondite analisi dottrinali proprio in punto alle pretese criticità sollevate nel gravame. Di rilievo risulta in particolare un recente contributo di GIUSEPPE DALLA TORRE sull’indipendenza della giustizia nella Città del Vaticano (L’indipendenza della giustizia vaticana, in: Scritti in onore di Libero Gerosa, a cura di Bianchi/Cattaneo/Eisenring, 2019; pubblicato anche nella rivista telematica Chiese e pluralismo confessionale, www.statoechiese.it, n. 25 del 2019). Affrontando la questione di sapere come sia garantita, nell’ordinamento vaticano, detta indipendenza, l’autore afferma che «ci sarebbero molti fattori da richiamare al riguardo, ma in questa sede vale la pena di limitarsi a uno, certamente non secondario, desumibile dall’ordinamento giudiziario dello Stato vaticano e da una consuetudine che ha valore normativo: vale a dire la selezione e i requisiti soggettivi dei magistrati stabili, inquirenti e giudicanti, che compongono il Tribunale. La scelta di questo tra i vari organi che a nome del Pontefice esercitano il potere giudiziario nello Stato della Città del Vaticano, non è casuale ma ha una ragione precisa. Giova al riguardo notare che l’ordinamento giudiziario vaticano ha subìto una serie di trasformazioni dal 1929 a oggi, che hanno riguardato in particolare proprio il Tribunale, organo che ha conosciuto tra l’altro un processo di positiva “laicizzazione”, sia per quanto riguarda la sua composizione sia per quanto attiene alle sue competenze» (ibidem, pag. 22). Importante in concreto è la Legge n. CCCLI sull’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano del 16 marzo 2020, la quale ha modificato parzialmente la precedente Legge n. CXIX del 21 novembre 1987, adattandone i contenuti alla realtà moderna. Cioè una legge sul nuovo ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano, in: www.statoechiese.it, n. 12 del 2020, pag. 89 e segg.; IDEM, I magistrati nel nuovo ordinamento giudiziario vaticano, Diritto e Religioni 1/2020, pag. 229 e segg.). Le grandi linee ispiratrici della nuova legge sono essenzialmente due: «innanzitutto il processo di ammodernamento dell’intero ordinamento giuridico vaticano, per renderlo acconcio a una realtà giuridica e di fatto assai cambiata rispetto al tempo delle origini dello Stato; poi, e soprattutto, l’armonizzazione dell’ordinamento giuridico vaticano con le esigenze del cosiddetto “giusto processo”, che costituisce ormai un paradigma di riferimento ineludibile a livello interno e internazionale» (DALLA TORRE, Considerazioni sul nuovo ordinamento giuridico, op. cit., pag. 94). Nell’ordinamento vaticano il principio del giusto processo «è stato esplicitamente enunciato dalla Legge 11 luglio 2013 n. IX, recante modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, che all’art. 35, esplicitamente rubricato “Giusto processo e presunzione di innocenza” prevede l’aggiunta al codice di procedura penale dell’art. 350 bis secondo cui “ogni imputato ha diritto a un giudizio da svolgersi secondo le norme del presente codice ed entro un termine ragionevole, tenuto conto della complessità del caso, nonché degli accertamenti da compiere e delle prove da acquisire” e, nel comma successivo, “ogni imputato è presunto innocente sino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata» (ibidem, pag. 96; v. anche DIDDI, op. cit., pag. 172). Come indicato nel preambolo della nuova legge, «con il nuovo millennio è iniziato un processo di revisione delle Istituzioni dello Stato della Città del Vaticano e una progressiva sostituzione delle iniziali leggi del 1929, contestuali alla sua creazione: nell’anno 2000 è stata adottata la nuova Legge fondamentale dello Stato; nel 2008 la nuova legge sulle fonti del diritto; di recente, nel 2018, ho provveduto anche ad aggiornare la legge sul governo dello Stato della Città del Vaticano, adattandola alle esigenze istituzionali e organizzative intervenute nel corso degli anni. Nell’ultimo decennio, inoltre, l’ordinamento giuridico vaticano ha conosciuto una stagione di riforme normative in materia economico­finanziaria e penale, anche come conseguenza dell’adesione a importanti convenzioni internazionali». L’art. 2 della Legge n. CCCLI prevede, al comma primo, che «i magistrati dipendono gerarchicamente dal Sommo Pontefice. Nell’esercizio delle loro funzioni, essi sono soggetti soltanto alla legge» e al comma 2 che «i magistrati esercitano i loro poteri con imparzialità, sulla base e nei limiti delle competenze stabilite dalla legge». L’avverbio «soltanto» del comma 1 fonda l’indipendenza dei magistrati vaticani e la loro imparzialità nell’esercizio delle loro funzioni. Selezionati solitamente tra i professori delle università pubbliche (v. art. 8 comma 2 Legge n. CCCLI), i magistrati addetti al Tribunale vaticano sono persone che hanno una loro professionalità e un definito status giuridico fuori della realtà vaticana, e questo proprio allo scopo di garantire la loro indipendenza (v. DALLA TORRE, L’indipendenza della giustizia vaticana, op. cit., pag. 23; IDEM, Lezioni di diritto vaticano, op. cit., pag. 129; IDEM, Considerazioni sul nuovo ordinamento giuridico, pag. 98 e seg.). Ciò vale «in particolare per i magistrati cui è affidato il compito di giudicare, posto che per natura sua l’ufficio del Promotore di Giustizia, cioè del magistrato addetto alla pubblica accusa, può avere – e talora deve avere – un qualche collegamento con il potere esecutivo» (DALLA TORRE, L’indipendenza della giustizia vaticana, op. cit., pag. 23). Giova notare che «la provenienza dei magistrati vaticani da personale universitario, il quale per natura sua è culturalmente prima ancora che giuridicamente indipendente, costituisce anche una garanzia diretta a evitare possibili contiguità con apparati dello Stato italiano o di altri Stati; concorre dunque a evitare il pericolo, non trascurabile, di introdurre in uno degli uffici più delicati dello Stato vaticano soggetti, magari di alta competenza giuridica e professionale, che però potrebbero non garantire pienamente l’indipendenza rispetto a poteri esterni. E ciò anche al di là delle pur non inverosimili ipotesi per cui certe contiguità possano trasformarsi in veicoli di trasmissione ad autorità estere di informazioni delicate o riservate, con compromissione di quella sovranità che ancora nelle più recenti riforme della legislazione penale si è voluta tutelare con molto rigore» (ibidem, pag. 24).

“Da citare è anche la procedura di nomina, posto che comunque ogni Stato ha le sue particolarità e il giudice dell’assistenza deve esercitare il proprio sindacato in merito con particolare prudenza (v. supra consid. 2.1). Mentre per la Legge sull’ordinamento giudiziario la nomina del cancelliere, del vicecancelliere, degli ufficiali giudiziari e del personale amministrativo avviene a norma del Regolamento generale del personale del Governatorato (v. art. 25 Legge CCCLI), quella dei magistrati interviene ad opera del Sommo Pontefice (v. art. 8 comma 1 Legge CCCLI; per i dettagli sulle varie autorità penali vaticane v. DIDDI, op. cit., pag. 175 e segg.). In questo senso, secondo la dottrina, «i magistrati del Tribunale vaticano, sia con funzioni giudicanti sia con funzioni requirenti, sono collocati fuori dei poteri che ordinariamente esercitano, in nome del Sovrano, le funzioni legislativa e di governo. In particolare i magistrati non dipendono dalla Amministrazione, cioè dal Governatorato della Stato della Città del Vaticano, di cui possono essere chiamati giudicare gli atti; neppure dipendono da altre autorità giudiziarie, per quanto riguarda il contenuto da dare alle requisitorie o alle decisioni o altri provvedimenti. La nomina direttamente da parte del Pontefice comporta che nell’esercizio delle loro funzioni godono di una peculiare autonomia, rispondono

direttamente al Papa, continuano a esercitare le loro funzioni anche in periodo di Sede vacante» (DALLA TORRE, L’indipendenza della giustizia vaticana, op. cit., pag. 27 e seg.). Le prassi seguite in questo ambito hanno del resto permesso di fare ricadere la scelta «sempre su professori di università in materie giuridiche e su avvocati iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori» non diversamente da quanto avviene in Italia «per la nomina a Consigliere di Cassazione, per meriti insigni, di professori ed avvocati» (DIDDI, op. cit., pag. 177).

Concludendo, l’imparzialità della giustizia penale vaticana è assicurata, oltre che dalle regole processuali che consentono di rimuovere il iudex suspectus, secondo criteri di astensione e di ricusazione in definitiva paragonabili a quelli previsti dagli art. 56 e segg. del Codice di procedura penale svizzero, «dalle modalità di reclutamento dei magistrati e dalla loro sottoposizione soltanto alla legge» (DIDDI, op. cit., pag. 176). Non vi è dunque nessun elemento per ritenere che le nomine e la costituzione delle magistrature giudicanti avvengano in maniera arbitraria (v. del resto già l’art. 15 primo comma della Legge fondamentale del 26 novembre 2000, dove si legge che il potere giudiziario è sì esercitato a nome del Sommo Pontefice, ma «dagli organi costituiti secondo l’ordinamento giudiziario dello Stato») e che nell’esercizio delle loro funzioni i magistrati della Città del Vaticano subiscano interferenze da parte degli altri poteri dello Stato e tanto meno che il ricorrente non beneficerebbe in casu di tutte le garanzie di un processo equo giusta l’art. 6 CEDU. Le sue critiche sono del resto generiche: egli non ha indicato e sostanziato l’esistenza di violazioni concrete nei suoi confronti nell’ambito del procedimento a suo carico, anzi dapprima acconsentendo alla trasmissione semplificata della documentazione concernente i suoi conti bancari, di fatto confidando che il processo a suo carico si riveli equo, altrimenti la sua decisione sarebbe ben difficilmente comprensibile, a prescindere dalle ragioni tattiche indicate a pag. 11 del ricorso. Anche questa censura va dunque respinta.”

Così ha scritto la Corte federale svizzera. E il 6 aprile 2022  ha respinto anche il ricorso di Raffaele Mincione. E i suoi beni - oltre 60 milioni - sono rimasti sequestrati. Come si può riscontrare le principali riforme vaticane sono avvenute nel 2013 e nel 2020. Papa Francesco regnante. Ma non Papa Re.




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