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Roberti: "Sentenza storica"

È contento della sentenza di Palermo, Franco Roberti, ex Procuratore Nazionale antimafia che ha seguito passo passo le indagini della Procura di Palermo sulla trattativa Stato-Mafia, nell'arco di questi anni, essendo stato nominato dal CSM il 25 luglio 2013, fino al suo pensionamento avvenuto lo scorso 16 novembre 2017.

"Sono lieto che sia stato riconosciuta dalla Corte di assise palermitana la fondatezza dell'impianto accusatorio. La sentenza mi conforta. Laicamente ho sempre sostenuto che fosse doveroso cercare la verità fino in fondo e senza riguardi per nessuno".

Le condanne sono state pesanti. Anche per Marcello Dell'Utri.

"Il punto non è solo vedere le singole posizioni processali o le singole condanne, che potrebbero essere riformate in appello. Leggeremo tra qualche tempo le motivazioni della sentenza. Quello che mi preme sottolineare è che la ricostruzione complessiva di quanto è avvenuto, portata avanti dai pubblici ministeri, è stata confermata dalla sentenza. Questo è un dato molto importante".

Il pm Nino Di Matteo ha parlato di sentenza storica. Condivide?

"Senz'altro: è una sentenza storica, non c'è alcun dubbio su questo".

Perché?

"Perché aiuterà a capire quello che è successo in Italia nei primi anni Novanta. E che tanto pesa ancora oggi sullo sviluppo democratico del nostro Paese. Sono stato io che ho applicato il sostituto procuratore nazionale antimafia Di Matteo, insieme al collega Francesco Del Bene, al processo sulla trattativa Stato-mafia, in modo che anche dopo la sua nomina a Roma potesse continuare il suo lavoro e il nuovo incarico non fosse considerato una fuga da quel processo".

Questa sentenza segnerà veramente la fine della seconda Repubblica come ha dichiarato il leader M5S Di Maio?

"Oggi c'è fame e sete di chiarezza e di verità per permettere all'Italia di andare avanti. Tragedie come quelle di Aldo Moro o le stragi di mafia - con i loro lati ancora oscuri - continuano a pesare sullo sviluppo democratico del nostro Paese. La sentenza di Palermo è fondamentale perché può costituire l'inizio di un percorso di ricerca della verità sulle complicità esterne ai gruppi criminali, ancora non accertate".

Il coordinatore del pool dei pubblici ministeri, Vittorio Teresi ha dedicato questa sentenza a Paolo Borsellino, perché Borsellino?

"Il 18 luglio dell'anno scorso, in occasione della commemorazione davanti al Consiglio superiore della Magistratura del venticinquesimo anniversario della strage di via D'Amelio, ho sostenuto in presenza del Capo dello Stato che la decisione di uccidere Borsellino fu accelerata proprio perché egli sarebbe stato d'ostacolo alla trattativa Stato- mafia, appena avviata dopo la strage di Capaci. Tanto più Borsellino se fosse divenuto Procuratore nazionale antimafia, dopo la morte di Giovanni Falcone. Borsellino era percepito come un macigno sulla strada della trattativa: ecco perché Cosa nostra decise subito di ricorrere ad una nuova strage. Borsellino si sarebbe certamente opposto alla trattativa, da qui la necessità di ricorrere a un secondo clamoroso delitto in così breve tempo".

(pubblicato su Hingtonpost.it il 20 aprile 2018)

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