"The Donald" muove e "spiazza" Francis
Nella geopolitica, cambiando l'ordine degli addendi, la somma può cambiare. E anche molto. Prima l'Arabia Saudita (qui sopra l'immagine della bandiera saudita), poi Israele e la Palestina, poi il Papa.
Trump inizia il suo viaggio nel mondo, da dove meno ce lo si sarebbe aspettato. Da quell'Arabia Saudita considerata la roccaforte dell'appoggio estero alla ex rivale democratica, Hillary Clinton. Da quella Arabia Saudita il cui re è, per diritto, il difensore dell'Islam e il custode dei luoghi santi islamici (Medina e La Mecca) ma che tiene anche nelle sue mani molto del debito pubblico americano.
Poi Trump risale in Israele (alleato storico degli Usa e in particolare di Trump, dopo il grande freddo di Obama) ma andrà anche in Palestina (l'annuncio è avvenuto il giorno dopo l'incontro con Abu Mazen , al termine del quale Trump ha detto che la pace si farà).
Poi Roma, per incontrare in Vaticano di buon mattino -alle 8,30 del 24 maggio- papa Francesco. Un orario non esattamente protocollare per l'impegno più importante della giornata. E il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. A seguire (il 25 maggio) gli impegni multilaterali di Bruxelles e Taormina (G7 del 26 maggio).
Ma è proprio l'ordine del viaggio che, che al di là della gestione dell'agenda, dà un sapore diverso a quello che a lungo è stato un lungo, latente, sottotraccia, confronto-scontro che dura da più di un anno ormai, con Papa Francesco. Fino alla defatigante tortura della goccia cinese: la richiesta di udienza arriva o non arriva? (ad ammettere che la richiesta ancora non c'era, lo stesso Papa Francesco nel corso dell'intervista conclusiva a bordo dell'aereo di ritorno dal Cairo, sabato scorso).
A questo punto l'incontro con il Pontefice assume un significato molto diverso rispetto a quello di un faccia a faccia tra i due leader, assoluti, della scena globale.
Trump arriva al Palazzo Apostolico dopo quello che gli etologi chiamerebbero un "display di carica". Dopo aver battuto i pugni sul petto, e dimostrato la sua forza, proprio sul terreno dell'"avversario" vestito di bianco: quello della religione e del rapporto con l'Islam.
Con una mossa repentina, sorprendente e spiazzante, il presidente degli Stati Uniti è intenzionato a soffiare a Francesco il suo stesso campo di gioco. Trump schiera l'Arabia Saudita. Francesco gli intellettuali e sapienti dell'Università Al Azhar. Trump schiera la Palestina, ma insieme a Israele.
Francesco il rabbino di Buenos Aires, mentre Israele al Cairo è stata pubblicamente accusata dallo sceicco di Al Azhar. La politica "liquida", e obamiana, lascia il posto alla più tradizionale politica di potenza.
L'annuncio del viaggio ha coinciso con la vittoria di Trump alla Camera: il primo passaggio per lo smantellamento dell'Obamacare ("Mi interessa se farà soffrire i poveri" aveva dichiarato invece Papa Francesco dopo l'elezione del tycoon).
E in questa ottica di potenza va letta anche quella frase pronunciata da Trump ("Mi recherò a Roma, il luogo preferito dai miei cardinali", un'espressione french style che secondo il professor Massimo Faggioli, fu usata solo da Napoleone) cardinali che Trump ha incontrato proprio ieri, National Day of Prayer.
Subito dopo aver bloccato alcuni poteri dell'IRS (i temibili "Untouchbles" del Fisco americano) che finora potevano revocare le esenzioni fiscali per le organizzazioni religiose che "fanno politica" dal pulpito. Il trono "concede" esenzioni fiscali all'altare della Chiesa nazionale americana, e così la allontana da Roma.
Tutto questo ( dall'Arabia all'IRS ) è accaduto in un giorno, anzi, in poche ore.