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Attentato alla Sinagoga e Lodo Moro.

La Procura di Roma riaprirà le indagini sull'attentato al Tempio maggiore di Roma del 9 ottobre 1982, quando un commando palestinese riferibile ad uno dei terroristi più temibili, fondatore del Consiglio rivoluzionario di al Fatah, Abu Nidal, mise a segno un assalto proprio nel centro del capitale italiana ,a pochi passi dal Tevere. Nell’agguato morì un bambino di due anni , Stefano Gaj Taché , cittadino italiano di religione ebraica e altre 37 persone rimasero gravemente ferite.

Il fatto nuovo dopo 39 anni (riportato da "Il Riformista” nel dicembre 2021 ) è che in base ai documenti ufficiali del Sisde (il servizio segreto per la sicurezza interna, ora AISI) desecretati in questi ultimi anni, un attentato era stato

“segnalato” come altamente probabile in ben sedici “alert”, nei quali se ne riteneva possibile l'esecuzione in occasioni delle feste ebraiche. E il 9 ottobre ricorreva appunto "la festa dei bambini”.

Nonostante questo e nonostante le molte richieste della comunità ebraica di incrementare le misure di sicurezza, proprio quel giorno persino la singola camionetta che usualmente stazionava davanti al Tempio, quella mattina venne rimossa. Circostanza confermata in un'intervista a Repubblica da uno dei sopravvissuti (https://roma.repubblica.it/cronaca/2022/02/02/news/attentato_alla_sinagoga_di_roma-336064956/)

Perchè? Come mai il Viminale non dette seguito alle informative del Sisde? Cosa può dire il Ministro dell'Interno dell'epoca

Virginio Rognoni oggi?

Quarant’anni fa ci furono forti polemiche per quella che appariva come una grave inefficienza del Viminale. Ma i nuovi documenti e molti altri che sono ormai consultabili in base alla direttiva “Renzi” del 2014, una legge per desecretare gli archivi degli apparati dello Stato relativi al terrorismo e alle stragi

fanno sorgere nuovi e pesanti interrogativi. Noi oggi infatti sappiamo con certezza che, a partire dal 1973, venne

sottoscritto un patto tra i nostri servizi segreti e le fazioni terroristiche palestinesi in modo che l’Italia diventasse per esse un terreno di passaggio per il traffico d’armi. Con una sostanziale "non interferenza" italiana, se gli obbiettivi dei palestinesi in Italia fossero stati israeliani, ebrei o americani. Come spiegò nel 2008 in una intervista Francesco Cossiga al quotidiano israeliano Yediot Aharonot :“Poiché gli arabi erano in grado di disturbare l’Italia più degli americani, l’Italia si arrese ai primi”. E lo stesso capo dell’OLP Yasse nei suoi Diari (di cui il settimanale L’Espresso ha fatto un’anticipazione nel

2018) , ha annotato, perentorio, in relazione a quegli anni": “L’Italia è una sponda palestinese nel Mediterraneo”.

Il mondo allora era diviso in due e Roma assomigliava molto a Berlino, a metà tra Est ed Ovest . La prova del patto con i palestinesi è in un t elex del 18 febbraio 1978, a noi noto solo dal 2015, quando esso è confluito negli atti a disposizione della Commissione Moro 2, presieduta da Giuseppe Fioroni. In quel cablogramma da Beirut il colonnello Giovannone ( preannunciando il rischio di una grossa azione terroristica in Europa) confermava la volontà del Fronte popolare per la liberazione della palestina (Fplp) di tenere indenne l’Italia. In realtà le cose andarono molto diversamente. Perchè neppure un

mese dopo Aldo Moro venne rapito ad opera delle Brigate Rosse, ed operarono sul campo terroristi tedeschi della Rote Armee Fraktion, gestiti dal servizio segreto della Germania orientale (Stasi), in stretto contatto con i gruppi terroristici palestinesi. E a Berlino Est aveva trovato rifugio sicuro lo stesso George Habbash , leader del Fronte per la liberazione della Palestina, il “firmatario” palestinese del “patto” con l’Italia. A Berlino viveva anche il terrorista Wadi Haddad , coinvolto dal colonnello

Giovannone, nelle trattative per liberare Moro durante i 55 giorni . Un “patto” la cui esistenza è stata confermata personalmente anche da Abu Sharif un protagonista dell’epoca ancora in vita, soprannominato da Time magazine “il volto del terrore” , braccio destro di Arafat , nella sua audizione a Palazzo San Macuto del giugno 2017.

La documentazione completa relativa a quell’accordo impropriamente denominato "Lodo Moro" (visto che in realtà fu voluto dall’allora presidente del Consiglio Andreotti anche se Andreotti ne ha sempre negato pubblicamente l’esistenza) è ancora tutelato dal segreto di Stato, rinnovato nell’estate del 2020 dal Governo Conte II.

Eppure, già quello che oggi sappiamo in base a decine di migliaia di atti desecretati e consegnati alla Commissione Moro che ha chiuso i suoi lavori nel 2018, e all’Archivio di Stato, è sufficiente per “ istrutturare" il campo della conoscenza della storia degli anni di piombo nel nostro Paese . E degli attentati organizzati in Italia dai palestinesi (compreso

quello eseguito a Fiumicino del 1985 con 13 morti e 76 feriti).

Del resto, l’Italia era diventata dall’inizio degli anni Settanta e fino al 1989, uno dei terreni principali su cui venne "guerreggiata" la Guerra Fredda. E i terroristi palestinesi vi giocarono un forte ruolo. Virginio Rognoni, esponente di lungo corso della sinistra dc, eletto deputato a partire dal 1968 per sette legislature, nel 1976 divenne vicepresidente della Camera, fino a quando il presidente del Consiglio Andreotti, nel 1978, lo chiamò a sostituire come ministro dell’Interno, Francesco Cossiga che si era dimesso subito dopo l’assassinio di Moro.

“ Gingio" , per gli amici, rimase al Viminale per 5 anni, fino all’83, mentre si erano succeduti ben cinque governi (Andreotti, Cossiga, Forlani, Spadolini I e II, Fanfani ) .

Nell’82 ai tempi dell’attentato alla Sinagoga era presidente del Consiglio, Giovanni Spadolini , il primo premier filoatlantico e

filoisraeliano, salito a Palazzo Chigi dopo l’esplosione dello scandalo P2. Fu anche l’unico politico presente ai funerali del bambino Gaj Taché. Ma già fiaccato dai franchi tiratori DC sul decreto petrolifero che fecero cadere il governo Spadolini I I il 7 agosto 82, rimase al governo (dal 23 agosto 1982) solo fino al mese dopo l'attentato alla Sinagoga (13 novembre 1982).

I cinque anni di Rognoni al Viminale risultarono cruciali. Rognoni era al Viminale il 1 ottobre del 1978 quando fu scoperto dagli

uomini del generale Dalla Chiesa il covo brigatista di via Montenevoso, dove ( sappiamo oggi) venne ritrovata la copia di documento delicatissimo relativo all’organizzazione della NATO, circostanza di cui Dalla Chiesa informò il Ministero dell’Interno, all’inizio del 1979.

Rognoni era al Viminale quando, nella primavera del 1979, si concretizzò una veloce e concordata “ consegna” alla polizia dei due br “dissociati” Valerio Morucci e Adriana Faranda che erano riparati in casa di Giuliana Conforto ( figlia di Giorgio, “ Dario" , il più importante agente Kgb in Italia nel Dopoguerra) , appartamento in cui fu sequestrata una delle due armi che uccisero Moro, la mitraglietta Skorpion. Rognoni era al Viminale quando Dalla Chiesa, capo dell’antiterrorismo, per oltre un anno si era messo alla ricerca dei documenti originali sull’organizzazione Gladio, scomparsi dalla cassaforte del Ministro della Difesa Ruffini, cui alludevano le copie ritrovate a via Montenevoso. Era al Viminale, Rognoni, quando il generale, nel marzo 1980, eseguì il blitz di via Fracchia a Genova, dove venne ucciso Riccardo Dura, capo della colonna genovese e soprattutto,

sappiamo oggi, venne recuperata una quantità imponente di documentazione. E tra essa quegli “originali” , che così riuscirono

tornare al loro posto a palazzo Baracchini, qualche mese più tardi, com 'è certificato dalla nota del Copaco (Comitato di controllo sui servizi segreti) del 1992.

Rognoni era al Viminale anche quando il 4 maggio del 1982 venne stilato un cartellino segnaletico di Alessio Casimirri ( l’unico br presente in via Fani e condannato a sei ergastoli , ma che a tutt’oggi non ha fatto un giorno di carcere , riparato nel Nicaragua governato dai sandinisti ) dopo un presunto arresto di cui si è avuta prova solo nel 2015.

Rognoni era al Viminale , quando succedette a Rinaldo Ossola, nel 1982 , come presidente dell’Associazione di amicizia italo- araba ( carica che ha mantenuto per oltre un decennio).

Incarico che non deve stupire visto che già dagli Anni Settanta, tra tuttigli esponenti della sinistra dc, “ Gingio” era considerato il più filoarabo, sulla scia del suo mentore e maestro Luigi Granelli ( che lui accompagnò in delegazione ad una Conferenza al Cairo di cui si ricordano interventi di fuoco di Granelli contro Israele).

Per tutto questo pochi anni fa i commissari della Moro II avrebbero voluto ascoltare l’ex responsabile del Viminale. Si sarebbero recati loro a Milano, in modo da evitare all’anziano politico (nato nel 1924 ) una faticosa trasferta a Roma. Furono scambiate mail su mail, ma alla fine Rognoni ha fatto in modo di far cadere la cosa. Nel 2018 , tuttavia, ha trovato tempo e voglia per presentare un libro sui lavori della Commissione, scritta da Wladimiro Satta insieme all’unico parlamentare , Fabio Lavagno, che ha votato contro la Relazione finale dell’organismo parlamentare (approvato all’unanimità anche dall’Aula di Camera e Senato) .

Evidentemente Rognoni non si è trovato d’accordo con la ricostruzione del terrorismo italiano ed internazionale fatta

l’organismo parlamentare e dalla sua principale conclusione. E cioè che la ricostruzione “ufficiale “ della storia degli anni di piombo ( quella nota fino alla recente apertura degli archivi) è stata il frutto di un negoziato tra istituzioni e le Br, per “ confezionare"- grazie al cosiddetto Memoriale Morucci -“una verità di compromesso” che non alterasse equilibri internazionali troppo delicati, a cominciare da quelli con l’Est europeo e i palestinesi.

Tra l’estate del 1986 e quella successiva,1987 , un anno fondamentale - questo oggi oggi lo sappiamo con certezza - per la stesura del Memoriale che viene attribuito a Valerio Morucci , Rognoni era Guardasigilli, cioè titolare del Ministero della Giustizia, che ha anche il controllo delle carceri.

“ Gingio", tornerà al governo nel luglio 1990, l’anno dopo della Caduta del Muro di Berlino, con Andreotti presidente del Consiglio (per rimanervi fino al 28 giugno 1992). Nuovo ruolo, questa volta : ministro della Difesa.

Per andare al governo ruppe con tutta la sinistra dc (i cui esponenti, compreso il futuro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, non erano d'accordo nell’impegnarsi nella formazione del nuovo esecutivo) e ruppe in modo clamoroso con

Granelli che lo accusò pubblicamente di “essere un traditore”.

Come responsabile della Difesa gestì ( a partire da agosto) insieme al presidente Andreotti, il “disvelamento” della struttura della NATO che era stata creata alla fine della Seconda Guerra Mondiale per rendere operativa la resistenza nel caso di una eventuale invasione sovietica, la struttura Gladio-Stay Behind.

All’inizio di ottobre (1990) , una nuova irruzione nel covo br di Via Montenevoso portò alla luce la parte “ mancante" del Memoriale di Moro riguardante la Gladio. Ma secondo l’analisi filologica compiuta sulle varie versioni del Memoriale di Moro ( se ne contano almeno quattro) e ai loro rimandi interni , da Francesco Maria Biscione(consulente della Commissione stragi e collaboratore dell’Istitutodell’Enciclopedia italiana) mancherebbero però ancora all’appello il riferimento ai rapporti tra Andreotti e i servizi segreti ( e quindi potenzialmente in riferimento al cosiddetto "Lodo Moro" ) e alle operazioni dei nostri servizi segreti in Libia.

Quello di ministro della Difesa è stato l' ultimo incarico governativo di Virginio Rognoni (venne eletto dal 2002 al 2006, vicepresidente del Csm).

Dopo tanto tempo, oltre al Pnrr e alle riforme, il Paese ha bisogno di verità sulla sua Storia: dall’attentato alla Sinagoga al caso Moro. Perchè un filo rosso li unisce: un filo rosso sangue che emerge dai documenti ufficiali non dalle dietrologie.






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