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La versione di ( Sua Beatitudine) Shevchuk


Traduzione ufficiale in lingua italiana ( a cura della sua segreteria a Roma) dell'intervista di Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, Arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, alla rivista Glavkom, pubblicata il 23 giugno 2023. Per la sua eccezionale rilevanza documentale nel corso della missione a Mosca del cardinale Matteo Zuppi, la pubblichiamo integralmente.

 

 

Beatitudine, a giugno ricorre l'anniversario della visita di Papa Giovanni Paolo II in Ucraina. Nel 2001 la visita divenne un evento importante passato alla storia, e oggi tutta l'Ucraina attende dal Vaticano notizie sulla prossima visita del Pontefice. Quali decisioni sono state già prese dal Vaticano in merito a questa nuova visita, quando aspettarsi il Papa da noi?

 

In effetti, la visita di San Giovanni Paolo II in Ucraina è diventata un evento epocale. Allora scherzavamo sul fatto che fosse il primo papa a tornare dall’Ucraina a casa vivo, dato che abbiamo due papi martiri - papa Clemente e papa Martino - che diedero le loro vite in Crimea, nel sud dell’Ucraina.

 

La visita di Giovanni Paolo II è stato un evento che ha dato maggiore soggettività all'Ucraina come Stato già ai tempi del presidente Kuchma. In primo luogo, quella visita è stata ben preparata, e in secondo luogo, a mio avviso, ha stabilito alcuni criteri per valutare il successo di tutte le future visite papali. Mi ricordo che, come vicerettore del Seminario teologico di Lviv, io e il mio team a quel tempo siamo stati coinvolti direttamente alla preparazione della visita. Ricordo anche come abbiamo lavorato su vari documenti, sulla logistica e sulla preparazione di tutte le Liturgie da celebrare a Kyiv e a Lviv. Mi ricordo persino di aver commentato la visita del Papa alla televisione e alla radio. A Kyiv era coinvolta la radio centrale. La Liturgia si è tenuta in rito bizantino allo stadio Chaika. A Lviv ho commentato in televisione l'incontro del Papa con i giovani. L’appello del Papa ai giovani probabilmente rimarrà per sempre una pagina d'oro nello sviluppo e nella crescita del nostro stato indipendente. Ovviamente desideriamo che le prossime visite non siano di livello inferiore, vorremmo che ci sia una visita del Papa in Ucraina.

 

Da più anni in preparazione e pianificata, si lavora sulla possibilità della visita di Papa Francesco in Ucraina. Il papa mi ha detto personalmente che ha il desiderio di venire in Ucraina. Vediamo però che il desiderio del papa ogni volta si trova in un contesto diverso.

 

Per la prima volta il papa ha espresso il desiderio di venire in Ucraina ancor prima dell'inizio dell'invasione russa su vasta scala. È evidente che la nuova fase della guerra dell'aggressore contro l'Ucraina ha creato nuove circostanze, nuove condizioni cambiando, in un certo senso, i meccanismi organizzativi della preparazione della visita stessa. L'anno scorso eravamo in attesa di una possibile visita, ma a fine anno il Papa ha riferito che gli era abbastanza difficile viaggiare date le sue condizioni di salute. E poiché oggi non esiste un collegamento aereo diretto con Kyiv, sarebbe stato abbastanza difficile per lui fare un viaggio simile. Persino ora il papa è in ospedale. Speriamo che entro fine settimana venga dimesso e torni al suo abituale ritmo.

 

Il messaggio principale che egli vuole portare in Ucraina è probabilmente ancora in fase di elaborazione. Il Papa vuole veramente fare il possibile per fermare questa guerra. E cosa significa? Il Papa vuole essere messaggero di buone notizie per il popolo ucraino. Ma come poterlo fare? Oggi vediamo che la guerra, tutti i crimini commessi dalla Russia in Ucraina fanno del nostro Paese una delle più grandi sfide di questo pontificato, una delle più grandi sfide della missione di Papa Francesco nel mondo moderno.

 

Francamente, non abbiamo ancora informazioni se la decisione di una visita in Ucraina sia già stata presa. Sappiamo solo del desiderio di prenderla. Tra l’altro, si parla di visitare non solo Kyiv, ma anche Mosca. Questo ci turba un po', perché non comprendiamo fino in fondo quale messaggio il papa voglia portare in Ucraina. Dunque, per questa visita dovremo tutti lavorare ancora.

 

Lei dice che i motivi per cui la visita non si fa sono, in particolare, i problemi di salute e di sicurezza del Papa, che evidentemente sono diventati più urgenti dopo l'inizio dell'invasione su vasta scala. Ma forse le vere ragioni di non venire non sono queste, bensì la riluttanza a litigare con Mosca e l’osservazione rimanendo in disparte?

 

Onestamente, non conosco tutti i motivi. Se potessi dirveli tutti, sarei molto, molto felice. Posso invece parlare delle mie impressioni, dopo aver conversato con il papa di persona. Considerando i gesti del papa, i gesti che oggi l'Ucraina vede da parte del Vaticano, posso dire che tutto ciò che il papa ha cercato di fare per l'Ucraina dall'inizio dell'invasione su vasta scala, ad oggi non ha avuto successo. Non ne conosciamo ancora le cause, forse le capiremo col tempo.

 

Il papa ha osservato rimanendo in disparte semplicemente per non far arrabbiare nessuno? No. Ci sono state diverse iniziative ma, sfortunatamente, nessuna di queste ha portato il risultato sperato. Elencherò alcuni di questi passi, e poi capiremo insieme cosa hanno significato o significheranno per noi. Ricordo alla fine del 2021, il mese di dicembre, quando cominciavano a soffiare venti di un forte peggioramento della situazione di sicurezza per l'Ucraina, e io ho chiesto personalmente al papa Francesco di fare il possibile per impedire l'inizio della guerra. Gli ho chiesto di prevenire un'invasione su vasta scala.

 

Possiamo ricordare i passi che ha compiuto il papa quando si è trattato della possibilità di un'invasione su vasta scala della Siria da parte degli Stati Uniti. Allora c’è stata una serie di passi diplomatici, lettere personali del Papa al presidente americano e al presidente Putin. Nella nostra situazione ho chiesto gesti simili per prevenire un'invasione su vasta scala, perché quando la guerra scoppia e iniziano a parlare le armi, le parole non funzionano più. So che il Papa ha cercato la possibilità di fare anche una telefonata a Putin che poi non ha avuto luogo. Ricordo il secondo giorno della guerra su vasta scala, venerdì 25 febbraio, il Papa mi ha chiamato di persona. Quella conversazione mi ha commosso moltissimo. Poi il papa mi ha detto: "Prometto di fare tutto il possibile per fermare la guerra". E quali passi, poi, sono stati fatti?

 

Il Papa si è recato personalmente all'Ambasciata russa presso la Santa Sede, perché sperava che l'ambasciatore russo avesse un contatto telefonico diretto con il presidente Putin. Così è andato in ambasciata infrangendo, di fatto, tutti i protocolli. Infatti, di solito è il papa a chiamare a sé gli ambasciatori, e non si reca con la visita alle ambasciate. Nonostante tutti gli sforzi, però, nessuno gli ha offerto un contatto diretto, un’opportunità di poter parlare con il presidente russo.

 

Sappiamo inoltre che il papa ha cercato di influenzare il corso degli eventi attraverso la Chiesa ortodossa russa, per mezzo del Patriarca Kirill. Con lui è stata persino organizzata una videochiamata, e Papa Francesco ha parlato in modo abbastanza forte, fatto per il quale è stato poi criticato. Il papa ha detto al Patriarca Kirill di essere ministri della Chiesa e di non essere chierichetti delle autorità civili. Naturalmente, era già impossibile fermare l’aggressione su vasta scala. Cosa si doveva aspettare visto che per agire servivano strumenti a disposizione?

 

Il Vaticano è uno Stato che, rispetto agli stati laici, nel diritto internazionale ha un aspetto diverso. Lo strumento principale per influenzare il corso di alcuni eventi storici per il Vaticano rimane il dialogo, la parola, i contatti, la comunicazione e la diplomazia. Infatti, la Santa Sede è la madre della diplomazia europea. Il Vaticano semplicemente non ha altri strumenti a livello politico. Questo spiega il fatto che, a livello diplomatico, nel contesto di varie guerre per migliaia di anni il Vaticano ha assunto una posizione neutrale. Il Vaticano non si schiera mai da una, o dall’altra parte del conflitto, cercando di starne al di sopra. Questo serve per non perdere l'occasione di dialogare con entrambe le parti. Certo, questo fatto a noi è sembrato un po' strano, magari ci faceva male. Avremmo voluto che il papa si schierasse inequivocabilmente dalla parte dell’Ucraina, anche a livello diplomatico e politico, condannando per nome i rappresentanti dell'aggressore. Avremmo voluto che dicesse chiaramente chi era l'aggressore e chi la vittima.

 

Adempiendo, tuttavia, al ruolo tradizionale dell'arbitro mondiale nella riconciliazione di vari conflitti, il Vaticano ha usato una terminologia diversa. Successivamente abbiamo sentito dire che la neutralità diplomatica non significava la neutralità morale. Lo testimoniano alcuni gesti, alcune azioni del Vaticano. Qualche tempo dopo l'inizio della guerra su vasta scala, nelle sue varie interviste il papa ha specificato chi era l'aggressore e chi invece la vittima. Lo dimostrano non le dichiarazioni dirette, bensì i meccanismi umanitari a cui ricorre il Papa per salvare le vite umane in Ucraina. Ad esempio, fin dall'inizio della guerra su vasta scala, attraverso la mediazione del Santo Padre abbiamo cercato di salvare le vite dei bambini di vari orfanotrofi finiti nel territorio occupato. Ricordo gli sforzi del Papa nel salvare la città ucraina di Mariupol, nell’evitare un’enorme catastrofe umanitaria avvenuta successivamente in quelle terre. Sfortunatamente, non è stato possibile impedirlo. Invece ci sono stati molti successi nel campo della liberazione dei nostri prigionieri, dei nostri ostaggi.

 

Il Santo Padre in persona, così come le strutture della Santa Sede, sono diventati il centro di azione umanitaria mondiale per salvare le vite umane in Ucraina. Passi concreti ci dicono da che parte sta il papa. La sua lettera al popolo ucraino, di cui avevamo bisogno,diventata l’esempio di empatia pastorale nei confronti dell'Ucraina, dice che è dalla parte ucraina (il 25 novembre 2022 il Vaticano ha pubblicato la lettera di sostegno del Papa per gli ucraini).

 

Ci sono diversi opinion leaders nell'ambiente della Chiesa greco-cattolica ucraina che sono critici e parlano con asprezza delle azioni del Papa. Avverte l’indignazione interna ucraina per la posizione del Vaticano?  

 

Questo è evidente. Tra l’altro, ne ho parlato direttamente con il Papa. Nel novembre 2022 sono venuto a incontrarlo per la prima volta dall'inizio dell'invasione su vasta scala. Proprio in quel periodo egli era tornato da una visita in Bahrain. Probabilmente Lei si ricorda la sua conferenza stampa sull'aereo. Allora gli è stato chiesto dell'Ucraina. Rispondendo, lui ha parlato del popolo russo, chiedendosi come in questo modo potevano comportarsi i russi che sono una nazione di grande cultura? Allora ha citato Dostoevskij.

 

Sono stato il primo a incontrarlo la mattina dopo quelle dichiarazioni. Mi ha ricevuto all’udienza privata. Quindi ho chiesto direttamente: sa, Santo Padre, cosa si dice oggi in Ucraina di Lei? Mi ha risposto di no. Poi gli ho detto: gli ucraini dicono che non ha letto bene Dostoevskij. Ha chiesto perché lo dicono. “Vede”, - gli ho risposto io, - “tutti oggi avvertiamo che le idee sulla grande cultura russa sono un mito. Infatti, noi in Ucraina possiamo testimoniare una realtà completamente diversa. Purtroppo, oggi la Sede Apostolica, l’Europa e altre istituzioni internazionali sono in pericolo, come lo erano alla vigilia della Seconda guerra mondiale”, quando i filosofi, gli esponenti della cultura, sentendo la parola “tedesco”, “nazione tedesca”, si immaginavano poeti, filosofi, musicisti tedeschi, la grande cultura tedesca, che era la pietra angolare della cultura europea. Invece in Germania al potere c’erano i nazisti, cioè i criminali. E poi il mondo intero si è chiesto: come è potuto accadere che una nazione europea così grande e acculturata sia stata in grado di commettere ciò che ha simboleggiato Auschwitz, e cioè i crimini di guerra: lo sterminio di milioni di ebrei? Oggi assistiamo alla stessa cosa(rispetto della situazione in Russia e il comportamento dei russi in Ucraina).

 

Quindi tutti noi in Ucraina sentiamo che oggi il papa sembra non comprende appieno il dolore dell’Ucraina, e l'Ucraina non comprende il papa. Non capisce certi suoi gesti, certe sue azioni. Gliel’ho detto a quell'incontro. Gli ho detto che potevamo, se necessario, offrire un aiuto, aiutare a creare anche un pool dei professionisti di comunicazione per poter trasmettere correttamente il messaggio che lui vuole portare in Ucraina. Quella volta gli ho raccontato della lettera di cui abbiamo già parlato.

 

Il Papa ha capito Lei e le Sue argomentazioni?

 

Il Papa ha ascoltato attentamente. Vedremo anche nel futuro quanto ha recepito. Comunque, successivamente alcuni passi sono stati fatti. Si nota un'evoluzione di certi pensieri, punti di vista, vi è una ricerca di strumenti migliori perché la sfida principale per il pontificato possa essere adeguatamente risolta, possa ricevere una valida risposta.

 

Dunque, non vedremo più l'immagine di una donna ucraina e una russa che si tengono per mano durante una processione? Fino a che punto il pensiero del papa si è evoluto durante la guerra di vasta scala da poter evitare azioni che hanno indignato gli ucraini?

 

Penso che si possano vedere ancora certi gesti, non sarei così categorico. Bisogna capire che quando parliamo del Vaticano, non parliamo di qualche ramo locale della Chiesa, come, ad esempio, quando parliamo di Costantinopoli, Antiochia o della povera Mosca. Il Vaticano è il centro della cristianità universale dove affluiscono pensieri, idee, posizioni, influenze da tutto il mondo, anche dall'Ucraina. Se dovessi trovare un parallelo con qualche istituzione laica internazionale, chiamerei il Vaticano l'ONU ecclesiastica. Oggi siamo tanto critici nei confronti delle Nazioni Unite quanto lo siamo nei confronti del Vaticano. Ma è alquanto importante per noi essere attivamente presenti all'ONU e nel Vaticano affinché il mondo ascolti l’Ucraina!

 

Ma nell'ONU ci sono paesi leader, mentre nella Chiesa cattolica è estremamente importante il ruolo e l'influenza di una personalità.

 

Il Vaticano ricorda le Nazioni Unite in quanto è una piattaforma in cui confluiscono e ribollono molte opinioni e posizioni diverse. Per l'Ucraina, il Vaticano è una piattaforma molto importante per la comunicazione della Chiesa, una piattaforma della Chiesa da cui possiamo parlare dei nostri interessi nazionali, della nostra visione della propria storia, del nostro presente, del nostro futuro. Ma è anche una piattaforma unica da cui parlare, rivolgersi al mondo, è una piattaforma della diplomazia. Non per niente i diplomatici di altissimo livello, quasi al termine della loro carriera diplomatica, vengono oggi nominati ambasciatori presso la Santa Sede.

 

Ho l'impressione che lo Stato ucraino non abbia compreso appieno le opportunità offerte dal Vaticano per difendere il nostro interesse nazionale. Non posso affermare categoricamente che l'Ucraina abbia una chiara politica nei confronti del Vaticano, in particolare, quando si tratta della questione della guerra. Perché il tema della guerra, della sicurezza, delle armi è una questione che va oltre la voce di un singolo vescovo. Su questo tema è competente a dovrebbe esprimersi il governo ucraino. Per noi, greco-cattolici, è ovvio che il Vaticano è una potente piattaforma di lotta costante, di difesa costante dei nostri interessi nazionali, della nostra visione ecclesiale. E più siamo attivi, meglio rappresentiamo la voce del nostro popolo, più autorità e influenza acquisiamo. Dunque, abbiamo l'opportunità di non essere d'accordo, abbiamo l'opportunità di criticare alcune cose. Ricordo come ero costretto a esprimere indignazione, a nome di molti rappresentanti del nostro popolo, per la firma della cosiddetta Dichiarazione de L'Avana dopo l'incontro del papa con il Patriarca Kirill (la Dichiarazione de L'Avana è un documento firmato il 15 febbraio 2016 a Cuba tra il Papa Francesco e il Patriarca Kirill della Chiesa ortodossa russa. Nel documento, in particolare, l'aggressione russa è chiamata "conflitto", "scontro in Ucraina").

 

Il Papa stesso allora mi ha difeso e ha affermato che la Dichiarazione dell’Avana non è una parola del Vangelo". A proposito, la Dichiarazione oggi è finita sotto un panno. Non l'ho sentita citare da nessuna parte.

 

Il problema è nella personalità del papa o forse nella Curia? Lei sa cosa sta succedendo in Vaticano. Si può dire oggi che la Russia ha comprato la metà del Vaticano, quindi il Papa non sente il punto di vista ucraino sulla guerra in corso?

 

No, questa affermazione non è vera. Tuttavia, il Vaticano è un bersaglio molto importante dell'influenza russa. Questo deve essere chiaro. Quali fattori formano questa influenza? Prima di tutto, il fatto che Papa Francesco è argentino. Cioè, la sua visione del mondo è quella del Sud. Ho incontrato il Papa a Buenos Aires. Capisco molto bene le matrici della visione del mondo presenti nei leader che vengono dal Sud America. Una delle caratteristiche inerenti alla cultura argentina è una profonda sfiducia nei confronti del Nord, cioè degli Stati Uniti e dell'Europa. Da dove viene tanta diffidenza? L'Argentina è stata una colonia, doveva liberarsi dall'oppressione coloniale spagnola del suo tempo. Questo fatto ha lasciato alcune tracce dell’imposizione del contesto culturale e politico europeo. Il sentimento antiamericano in Argentina è piuttosto forte. Quando ero ancora studente in Argentina, negli anni '90, mi faceva strano vedere graffiti sulle case di Buenos Aires con la scritta Yankees, go home!

 

Ai tempi della Guerra fredda l'Argentina era dall'altra parte della cortina di ferro rispetto agli Stati Uniti, e si sentiva una semicolonia. È la questione delle relazioni tra il Sud povero e il Nord ricco. Vale a dire, è difficile per gli argentini credere che gli europei e gli americani facciano qualcosa di altruistico per qualcun altro. Infatti, pensano che dietro questo aiuto ci siano gli interessi di qualcuno, interessi privati. E non si tratta solo del papa in persona, ma anche di tanti altri che gli stanno intorno. Papa Francesco cerca sempre di dare più voce, nelle strutture della Chiesa cattolica, alle persone che vengono dalla periferia. Ha concesso la dignità cardinalizia a persone mai arrivate a questo livello della Chiesa: ad esempio, di recente è diventato cardinale un vescovo della Mongolia, nonostante in Mongolia ci siano pochissimi cattolici. Ma il papa va in Mongolia, rafforzando così la periferia. Questa è la sua visione dello sviluppo della Chiesa, per rafforzare la voce di coloro che erano emarginati nei paesi più poveri. È la prima parte della questione.

 

La seconda è che la Curia Romana vive un periodo di riforma, si trova in periodo di transizione. Vi è in corso la riformattazione di determinate competenze e poteri. Il Papa ha emanato una nuova Costituzione sulla Curia Romana chiamata PraedicateEvangelium (Costituzione Apostolica promulgata da Papa Francesco il 19 marzo 2022). In un certo senso, ha ridimenzionato nel modo nuovo alcune responsabilità nella leadership della Chiesa. Attualmente stiamo assistendo ad un momento di transizione, in cui l'istituzione subisce modifiche che non ne migliorano l’efficacia in quanto, per il momento, solo si impara di gestirla nel modo nuovo.

 

A mio avviso, questa riforma è alquanto non tempestiva per l'Ucraina di oggi. Abbiamo bisogno che il Vaticano come istituzione sia molto efficace nell'affrontare le difficoltà che incontra già e oggi.

 

Un altro problema che vedo nei meccanismi vaticani oggi è la comunicazione, la comunicazione con il mondo, in particolare attraverso i media. Oggi il papa di fatto non ha un portavoce che possa, diciamo, essere un comunicatore costante con i giornalisti quando non capiamo il papa o quando le sue dichiarazioni non sono del tutto chiare. Naturalmente tutti vogliono capire cosa ha detto veramente il papa, cosa voleva dire? E se non capiamo, a chi possiamo rivolgerci per avere dei chiarimenti? In precedenza, se ne è sempre occupato il portavoce. E oggi manca. Non so perché, e non riesco a capirlo. Il Papa vuole essere portavoce di sé stesso..

 

Un altro fattore che influenza l'ambiente vaticano sono le élite politiche italiane. È morto in questi giorni il senatore Silvio Berlusconi, grande amico di Putin. Ricordiamo bene il caso in cui Papa Francesco dovette aspettare un'ora e mezza Putin che era in ritardo in Vaticano perché stava facendo una festa con l'amico Berlusconi. Sin dai tempi dell'Unione Sovietica, Mosca investe grandi risorse per creare la sua influenza tra le forze politiche italiane (come, del resto, fa in altri paesi europei). Di conseguenza, questi politici influenzano attivamente sia i movimenti e le comunità ecclesiastiche e laiche in Italia, sia i certi circoli intellettuali dell’intorno al Vaticano. E dobbiamo resistere con decisione a queste influenze nel campo ecclesiastico, non è inutile!

 

Di recente, è accaduto per la prima volta che il papa sia andato di persona ad un programma televisivo italiano. Cioè, in determinati processi lui vuole essere coinvolto personalmente. Ma è anche umano, e come ogni essere umano, essendo così esposto in prima persona, può sbagliare. Quando, poi, il papa sbaglia, o non si esprime con chiarezza, dà ancora meno risposte a domande difficili e, al contrario, negli ascoltatori fa nascere nuove domande che restano senza risposta.

 

 

 

 

 

 

 

È pronto che la conseguenza di questi errori del papa possa trasformarsi nel desiderio di una parte dei fedeli di allontanarsi dal papa, dalla Chiesa greco-cattolica ucraina? Da che parte starà quando i fedeli verranno da Lei e diranno di voler abbandonare la Chiesa?

 

La crisi della comunicazione non esiste solo nel caso dell'Ucraina. Certo, notiamo che l'Ucraina non capisce il Papa quando si tratta di noi, della nostra guerra, dei nostri dolori, delle nostre sofferenze. Ma ci sono molte crisi di comunicazione simili in altri ambiti. Forse, senza rendersene conto, il Santo Padre e il Vaticano si sono trovati in prima linea in una guerra ibrida con la Russia, non essendone preparati abbastanza. Come se la caveranno? Non lo so.

 

Ma, nonostante tutto, cerchiamo di essere aperti e pronti ad aiutarlo, e di questo che gli ho parlato. Per noi cattolici, il papa, la Sede Apostolica non è tanto politica, non è una componente di informazione, bensì una concreta visione della natura stessa della Chiesa di Cristo. Siamo cattolici non perché Francesco è il Papa, siamo cattolici non perché il Papa si esprime a ragione o a torto su temi internazionali. Siamo cattolici perché crediamo che l'apostolo Pietro nel collegio degli apostoli e i successori dell'apostolo Pietro abbiano un ruolo speciale nella Chiesa. Per quell'unità della nostra Chiesa con il successore di Pietro abbiamo pagato un prezzo molto alto, abbiamo pagato con il nostro sangue, con i secoli di persecuzioni e di sofferenza dei nostri martiri e confessori della fede. Ecco perché ci fa male quando l'Ucraina non capisce il papa e ci fa male quando magari il papa non comprende del tutto la situazione in Ucraina e, ovviamente, siamo sempre stati attivi nella questione e lo saremo anche in futuro.

 

La nostra identità cattolica non è una questione politica, bensì una questione spirituale, una questione ecclesiastica. Le ripeto che non ho paura che i fedeli della Chiesa greco-cattolica ucraina lascino la nostra Chiesa per delle incomprensioni che abbiamo oggi con certe posizioni politiche di alcune persone della Chiesa. Al contrario, penso che oggi, come l’Ucraina, dovremmo essere sempre più consapevoli e capire quale ruolo ha il Santo Padre nel mondo e nella Chiesa. Anche criticandolo come figli, diremo di cosa ci aspettiamo da lui come da nostro padre! Ogni sana critica è utile e, curiosamente, il papa ce la permette chiamando alla parrhesia e l’ascolta!

 

Si sa che esistono comunità religiose ucraine abbastanza forti e numerose in Brasile e in Argentina. Ricordiamo le dichiarazioni ambigue del presidente brasiliano sulla guerra in Ucraina, con cui si sostiene che per risolvere il conflitto armato l'Ucraina debba cedere i suoi territori. Se la Chiesa è anche diplomazia e piattaforma di influenza, perché le voci delle nostre comunità non sono abbastanza ascoltate, e fino a che punto sono in grado di influenzare il punto di vista dei politici in Brasile e in Argentina nelle questioni che riguardano l’Ucraina?

 

Oggi l'intera comunità ucraina è estremamente attiva in ogni paese del mondo. Molti dei nostri vescovi all'estero hanno affermato che il mondo non è mai stato così ucraino come lo è oggi, e la nostra comunità non è mai stata così globale e attiva come oggi lo è. La diaspora ucraina ha sempre vissuto periodi di prosperità, periodi di assimilazione e periodi di declino. In ogni singolo paese del mondo, il ruolo, il luogo e la possibilità di influenzare la politica statale da parte della comunità ucraina sono diversi.

 

In un modo preciso la comunità ucraina può influenzare la politica nazionale in Argentina, in un modo diverso lo può fare in Brasile. In un modo accade negli Stati Uniti, in un altro in Canada. Mi sta chiedendo, appunto, dei meccanismi di influenza. Ce ne sono due. Il primo è un meccanismo pubblico: sono varie comunità ucraine unite nel Congresso mondiale degli ucraini (UWC). Comprende rappresentanti di fedi completamente diverse, persone con idee e valori diversi. L'UWC unisce e coordina le attività degli ucraini. Il secondo è il meccanismo ecclesiastico. Il nostro Sinodo comprende vescovi di tutto il mondo, dal Canada e dagli Stati Uniti fino al Brasile, Argentina, Australia e fino ai Paesi dell'Europa occidentale. Cogliendo l’occasione della nostra comunicazione con Lei, desidero ringraziare tutti loro, le nostre istituzioni pubbliche della comunità ucraina dell’UWC, così come i nostri fedeli in diversi paesi del mondo che si sono organizzati in modo molto forte a sostegno dell'Ucraina. È sufficiente? No.

 

Non abbiamo fatto abbastanza anche a livello di rapporti con il Vaticano, a livello di rapporti con il Santo Padre. Allo stesso modo, la nostra comunità globale deve fare molto di più per avere impatto sulle opinioni dei leader politici nei loro paesi. Ma sia a livello ecclesiale che a quello pubblico, questa influenza già oggi ha dato i suoi frutti.

 

Per esempio? Quali sono i frutti?

 

Le faccio l’esempio di un'influenza molto positiva, quasi rivoluzionaria. Durante i 12 anni del mio servizio ho osservato attentamente i processi della nostra comunità nel Regno Unito di Gran Bretagna. Questa comunità è piuttosto giovane, è nata dopo la Seconda guerra mondiale ed è cresciuta dopo il crollo dell'URSS, quando si è palesata una nuova ondata, abbastanza numerosa, dei nostri migranti. In un modo o nell'altro, questa comunità si è sempre sentita un po' emarginata nel contesto nazionale inglese. Il governo britannico, inoltre, ha guardato gli ucraini un po' da lontano, dall'alto. La nostra gente che vive in Gran Bretagna mi ha detto che dopo la Seconda guerra mondiale è stato difficile per loro convincere l'Inghilterra che erano veramente ucraini. In una certo senso, i nostri migranti erano stati classificati come unknown citizenship  (cittadinanza sconosciuta). È stato un fatto molto doloroso per gli ucraini. Passarono decenni prima che queste persone ricevessero la cittadinanza britannica e diventassero a pieno titolo membri di questa società. Dopo il crollo dell'URSS l'Inghilterra ebbe difficoltà ad aprirsi ai nuovi migranti in arrivo. Per questo motivo le organizzazioni ucraine hanno avuto molte difficoltà a far arrivare la loro voce al parlamento o alla regina. E cosa vediamo adesso? Il Re Carlo ha visitato la nostra cattedrale di Londra due volte ancora da principe. Il nostro vescovo ha partecipato alla cerimonia di intronizzazione del nuovo re. Di fatto, nel rapporto  tra gli ucraini e la Gran Bretagna c'è stato un cambiamento rivoluzionario. Oggi la nostra cattedrale di Londra sta diventando una piattaforma in cui vengono compiuti grandi gesti a sostegno dell'Ucraina sia a livello della corona britannica che del primo ministro e a livello di varie figure religiose dell’Inghilterra.

 

Passiamo ora all’esempio dal Brasile. Penso che la nostra comunità ucraina in questo Paese abbia ancora molto da fare per far sentire la propria voce. Perché il Brasile non è solo un paese, è un intero enorme continente, una federazione. E gli ucraini sono fisicamente presenti solo in una piccola parte di questo continente, nei piccoli Stati di Paranà e Santa Catalina. È una regione molto piccola al confine con l'Argentina. Una volta gli ucraini venivano insediati appositamente al confine per creare una sorta di cuscinetto con l'Argentina. Tra l'altro, lo stesso veniva fatto con gli ucraini anche dalla parte argentina. E quando parliamo dell'influenza degli ucraini, prima di tutto parliamo dell'influenza sulle autorità dei loro Stati. Invece è ancora poco udita la voce degli ucraini nell’intero Brasile. Non voglio criticare la comunità ucraina in Brasile, ma i fatti al momento sono questi. Penso che la comunità ucraina cercherà poi di passare dal livello locale a quello nazionale brasiliano.

 

Lo stesso osserviamo quando parliamo non di politica, ma della Chiesa cattolica. In ​​Brasile abbiamo due vescovi, ma se in ​​questo Paese ci sono centinaia di vescovi (oggi ce ne sono 402, inclusi gli emeriti), allora due sono una percentuale piccolissima, una goccia nell'oceano. Posso dire lo stesso dell'Argentina, anche se la nostra comunità in Argentina è molto visibile proprio nella capitale. Due terzi della popolazione argentina vive nella capitale e nelle province intorno ad essa. La nostra comunità è diventata piuttosto stabile, non sta crescendo. Poiché gli ucraini oggi si dirigono in Europa, in Canada o negli Stati Uniti, non arrivano dunque nei paesi del Sud America. Pertanto, anche lì è presente l'assimilazione e la dispersione degli ucraini. E questo è un fattore della loro attività.

 

Vi darò un esempio che parla dell'attività e dell'influenza della nostra comunità religiosa argentina. Subito dopo l'invasione su vasta scala abbiamo ricevuto una lettera di solidarietà e sostegno. Inoltre, i vescovi argentini (in tutto 125) hanno raccolto denaro per i bisogni delle vittime della guerra in Ucraina.

 

Il Vaticano ha nominato il cardinale Zuppi capo della missione speciale per la riconciliazione in Ucraina. Qual è questa missione, quali sono i compiti del cardinale Zuppi in Ucraina?

 

Il cardinale Zuppi ha lo status ufficiale di inviato speciale del papa Francesco. Durante la presidenza di Donald Trump, Kurt Volker è stato il rappresentante speciale per l'Ucraina. Se tracciamo parallelismi con la vita secolare, allora questo confronto è adatto. Cioè, serve un rappresentante speciale per rafforzare il ruolo del Vaticano. Nonostante il fatto che all'inizio del suo lavoro ci siano stati alcuni malintesi di comunicazione. Anche il Papa stesso ha parlato di una possibile mediazione. Ma poi il Vaticano ha smentito queste parole. Cioè, oggi il Vaticano non si considera ancora un mediatore politico tra l’Ucraina e la Russia nelle condizioni di uno scontro armato su vasta scala. Perché il meccanismo della mediazione prevede strumenti completamente diversi da quelli di cui dispone questo inviato speciale del Papa. Ogni inviato speciale ha le sue singole istruzioni e funzioni.

 

Ho avuto l'opportunità di parlare con il Cardinale Matteo Zuppi dopo il suo ritorno da Kyiv in Italia. Infatti, mi ha spiegato che competenze possedeva durante il suo arrivo nel nostro paese. Aveva la competenza di ascoltare. Cioè, ascoltare e cercare di riferire al Papa i dettagli di ciò che aveva sentito. Non è venuto con il piano che volesse imporre a qualcuno.

 

Dunque, la sua missione come inviato speciale è diversa dalla missione dell'inviato speciale del periodo di Papa Giovanni Paolo II che si recò dai presidenti Bush e Hussein cercando di impedire la guerra in Iraq. L'inviato speciale di allora arrivò con una busta ai vertici degli Stati, che conteneva una lettera del Papa con alcune osservazioni o richieste di "non fare una cosa, bensì fare un’altra". Nel nostro caso, Zuppi non aveva una busta con un piano d'azione che avrebbe voluto imporci. Quando aveva incontrato il presidente ucraino, inizialmente si era avvertita una certa tensione della delegazione ucraina. Si temeva che fosse venuto con un piano preparato in anticipo che voleva imporre all'Ucraina. Ma non era nulla di tutto ciò. La parte ucraina alla fine ha tirato un sospiro di sollievo e il dialogo si è svolto in modo abbastanza positivo. Nel caso dell'Ucraina, era chiaro che il Vaticano non ha delle pretese di alcuna soluzione politica.

 

A proposito, ho avuto l'impressione che il 13 maggio di quest'anno il Presidente Zelenskyi abbia fatto una visita al Papa molto fruttuosa. Durante la visita, il presidente ha affermato chiaramente che l'Ucraina non ha bisogno di mediatori, ma ha bisogno di alleati. Ora la domanda è fino a che punto il Vaticano possa essere un alleato dell’Ucraina, oggi o domani. Penso che la questione verrà studiata con l'aiuto di questi contatti, attraverso il rappresentante speciale. Ora noi, Ucraina, abbiamo una road map, il cosiddetto piano di pace di 10 punti annunciato dal presidente. Vogliamo seguirlo. Non si tratta di semplici dieci idee: sono dieci sfide, dieci tipi di crisi e di tragedie che l'Ucraina oggi sta vivendo. È ovvio che la componente sicurezza è al primo piano, ma sono altrettanto importanti anche le questioni ecologiche, umanitarie e alimentari. Oggi è chiaro che il Vaticano non può impegnarsi a risolvere tutte e dieci le questioni. Ma qualcosa di questo elenco lo potrebbe fare. Oggi l'Ucraina e il Vaticano parleranno a questo livello. Penso che uno dei temi, se Cardinale Zuppi andrà a Mosca, sarà il tema della liberazione dei bambini ucraini, tema molto importante e molto doloroso. Sappiamo che questo problema costituisce il motivo per cui il Tribunale internazionale ha emesso un mandato di cattura per Putin. Penso che si terrà conto delle possibilità di azioni effettive della Santa Sede anche per quanto riguarda la sicurezza alimentare, perché la questione del corridoio del grano per l’Ucraina è molto importante.

 

Durante il colloquio con il Cardinale Zuppi gli ho chiesto con insistenza che il Vaticano tenesse conto di un altro tema molto importante appena venuto alla ribalta quando egli si trovava a Kyiv. Si tratta del disastro ecologico causato dalla distruzione della diga della Centrale idroelettrica di Kakhovka. Papa Francesco ha scritto un'intera enciclica sul tema dell'ecologia, Laudato si' (l'enciclica è dedicata ai problemi di ecologia, al rapporto tra l'uomo e la natura). Dopotutto, non si tratta solo di un disastro ecologico ma di ecocidio, secondo il diritto internazionale: un tipo di crimine di guerra equiparato all'uso delle armi di distruzione di massa. Cioè, abbiamo non uno bensì tre ambiti chiave di cui il Vaticano potrebbe occuparsi: la restituzione dei bambini, l'ecologia e l’alimentazione.

 

Beatitudine, infine, chiedo le risposte alle domande sulla guerra. Come si sente la Sua Chiesa riguardo alla mobilitazione dei coscritti che sono i suoi fedeli?

 

La difesa della Patria è il diritto naturale e un sacro dovere del cittadino. La Chiesa non può assolutamente diventare un ostacolo. Al contrario, accompagna i suoi fedeli nel loro dovere di proteggere la Patria. I nostri cappellani militari con i nostri uomini fanno parte dello stesso esercito. Sosteniamo le nostre Forze armate, la risposta è evidente.

 

E se un fedele vuole rifiutare la mobilitazione a causa delle sue convinzioni religiose, qual è la posizione della Chiesa?

 

Dal punto di vista dell'insegnamento sulla guerra e la pace della Chiesa cattolica, questo non è un motivo per rifiutare il servizio. Cioè, non è possibile in questo caso, riferendosi alla fede religiosa, rifiutare il servizio.

 

La Sua Chiesa considera un peccato uccidere il nemico che ha attaccato l’Ucraina?

 

Persino la guerra non cancella i 10 comandamenti di Dio, quindi non possiamo dire, da un lato, che il comandamento "non uccidere" non si applica, ma dall'altro stiamo parlando delle regole morali della legittima difesa. Cioè, se si tratta del fatto che dobbiamo fermare un aggressore ingiusto con i mezzi proporzionati, questo tipo di difesa è moralmente corretto.

 

Qual è il nome corretto con cui chiamare la Russia e i russi oggi? Sappiamo che dobbiamo pregare per il nostro nemico. È giusto?

 

In condizioni di guerra è molto importante chiamare tutto con il proprio nome. Cioè, l'aggressore è aggressore, il criminale è criminale, la vittima è vittima. Per noi oggi è evidente che i russi vengono in Ucraina per uccidere o essere uccisi. Dunque, chi sono? Sono dei criminali. Davanti ai nostri occhi avvengono gravissimi crimini di guerra contro la popolazione civile. Abbiamo accennato all’inaccettabile crimine di guerra contro l'ambiente, l'ecocidio. Quindi, questo tipo di azioni dell'apparato statale russo rientra in tutti i criteri usati per i criminali di guerra. E siamo molto soddisfatti che la comunità internazionale abbia già istituito un tribunale ad hoc per esaminare i crimini di guerra commessi dalla Russia. Pertanto, la giustizia deve trionfare.

 

 

Mi consenta un'ultima domanda, molto importante non solo per i greco-cattolici, ma per tutti gli ucraini. Le persone spesso chiedono "Se Dio ci fosse, permetterebbe questa ingiustizia?" Come risponderebbe alle persone che fanno queste domande? Come reagirebbe allo scoraggiamento?

 

Il Signore ama l’essere umano tantissimo. Ama al punto da non voler togliergli la libertà anche quando esso commette crimini. Cioè, i crimini sono commessi da una persona, e in tali circostanze il Signore è presente personalmente nella persona che è vittima di quei crimini. È un mistero dell'amore di Dio. Noi cristiani crediamo in Dio che si è fatto uomo proprio per avere una volontà umana, non per costringere la persona ad essere felice ma per aprirle la via alla felicità eterna. Pertanto, al contrario, la guerra dovrebbe rafforzarci nella fede perché solo quando crediamo nell'amore di Dio, possiamo sconfiggere l'odio e il male.

 

Per noi cristiani la fede in Dio è la fonte di forza e di stabilità. La fede nell'amore di Dio, a sua volta, dà forza per amare. Infatti, possiamo vincere questa guerra solo quando amiamo la nostra Patria, quando amiamo le donne e i bambini che soffrono, quando amiamo il popolo che combatte eroicamente

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