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BECCIU PERDE LA CAUSA CONTRO L’ESPRESSO: INFONDATA LA PRETESA DI 10MILIONI, CONDANNA A 40 MILA EURO



di Maria Antonietta Calabrò


Con una sentenza di 27 pagine depositata il 21 novembre dalla prima sezione civile del Tribunale di Sassari il giudice Marta Guadalupi ha respinta la pretesa di risarcimento danni di 10 milioni di euro presentata da SE Angelo Becciu contro il gruppo GEDI ESPRESSO , l'allora direttore Marco Da Milano, e il giornalista Massimo Coccia ( e la sua collega Angela Codacci Pisanelli) . Becciu e' stato condannato al pagamento delle spese processuali di 40 mila euro piu gli altri oneri . Segue integrale l'

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE:



"Con atto di citazione ritualmente notificato alle controparti nel novembre 2020, Giovanni Angelo Becciu ha convenuto in giudizio dinanzi all’intestato Tribunale la società GEDI Gruppo Editoriale S.p.a., quale editore de L’Espresso, Marco Damilano, direttore responsabile del suddetto periodico, Massimiliano Coccia, autore dei brani contestati, e Angiola Codacci Pisanelli, giornalista de L’Espresso, per chiedere il risarcimento del danno patito (quantificato in euro 10.000.000,00 – da devolvere alle opere di carità) a causa delle condotte illecite contestate ai convenuti e di seguito riassunte (si riporta la sintesi delle domande effettuata dal procuratore dell’attore nell’incipit dell’atto di citazione):

Sentenza n. 1169/2022 pubbl. il 21/11/2022 RG n. 3138/2020 Repert. n. 2148/2022 del 23/11/2022

- “l’oggetto della prima domanda è il risarcimento dei danni patiti e patendi dall’attore ex art. 2043 c.c. per l’illecita comunicazione fatta in anticipo al Santo Padre del contenuto dell’articolo apparso sul settimanale «L’Espresso» in data 27.09.2020, dal titolo «La spada di Francesco sui corrotti», ad opera dei convenuti, ben consci e consapevoli del fatto che il Santo Padre, di fronte alla denuncia ivi operata dei fatti, gli avrebbe chiesto le dimissioni”;

- “l’oggetto della seconda domanda, invece, è il risarcimento dei danni patiti e patendi dall’attore per il contenuto diffamatorio ed inveritiero di cui ai contributi apparsi sul settimanale «L’Espresso» e sul sito web de «L’Espresso» (https://espresso.repubblica.it) a far data 27.09.2020”.

I convenuti si sono costituiti in giudizio in data 30.03.2021 contestando l’infondatezza in fatto e in diritto delle avversarie domande; in particolare, hanno eccepito che la condotta contestata nella prima domanda (ancorché non provata) non integrerebbe un illecito civile ai sensi dell’art. 2043 c.c. e, quanto alla seconda domanda, che gli articoli impugnati costituiscono una legittima espressione del giornalismo di inchiesta e del diritto di critica su vicende di indiscusso interesse pubblico; hanno, inoltre, posto in evidenza come alcune parti dell’articolo del 27 settembre 2020 siano state riportate negli atti del processo estrapolandole dal contesto in modo da alterarne il significato; hanno specificatamente contestato la domanda anche sotto il profilo della mancanza di prova in merito

Sentenza n. 1169/2022 pubbl. il 21/11/2022 RG n. 3138/2020 Repert. n. 2148/2022 del 23/11/2022

alla sussistenza ed alla quantificazione del danno.

Assegnati i termini ex art. 183 comma 6 cpc, acquisiti i

documenti prodotti dalle parti (le richieste di prova orale venivano rigettate con ordinanza del 24.01.2022), nelle more il procedimento è stato assegnato a questo Giudice che, in seguito alla precisazione delle conclusioni, ha trattenuto la causa in decisione, previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

*

All'esito della trattazione ritiene il Tribunale che la domanda

sia infondata e debba essere rigettata, per i motivi che seguono.

Il primo profilo oggetto di contestazione, ove l’attore pretende - in questa sede - di attribuire la responsabilità delle proprie dimissioni, e dunque della perdita della propria posizione nella gerarchia ecclesiastica, ad una illecita “anticipazione” al Papa del contenuto dell’articolo di Coccia, pubblicato su L’Espresso il 27.09.2020 dal titolo «La spada di Francesco sui corrotti», posta in essere dai convenuti, motivo per il quale il Papa si sarebbe determinato a “licenziarlo”, è infondato sulla base delle seguenti

considerazioni.

Dal punto vista della contestualizzazione dei fatti contestati ai

convenuti, emerge, così come rilevato dalla difesa dei convenuti, la solare contraddizione tra la narrazione offerta in ambito processuale e quella ufficiale esternata dal cardinale Becciu nella conferenza stampa del 25 settembre 2020, ove quest’ultimo ha dichiarato al mondo di essersi dimesso per aver perso la fiducia del Papa a (

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causa della segnalazione arrivata dalla magistratura vaticana circa le indagini in corso su presunti atti di peculato a lui attribuiti.1

Dal punto di vista strettamente giuridico, la condotta di “comunicazione anticipata (al Papa) della notizia”, così come dedotta dall’attore, risulta non provata nel processo e comunque, a monte, non integra il “fatto doloso o colposo” idoneo a cagionare un danno ingiusto come prescritto dall’art. 2043 c.c..

Nel dettaglio, l’attore pretende di provare (per presunzione) l’avvenuta “comunicazione anticipata (al Papa) della notizia” attraverso la presunta circostanza che l’articolo dal titolo “Ecco perché il cardinale Becciu si è dimesso. Soldi dei poveri al fratello e offshore: le carte dello scandalo. E il Papa chiede pulizia” e l’articolo dal titolo “Ecco perché il cardinale Becciu si è dimesso: L’Espresso di domenica 27 settembre” (a firma della giornalista Angiola Codacci Pisanelli) sarebbero stati pubblicati online, rispettivamente, alle ore

1 Emerge dagli atti di causa che nell’immediatezza dei fatti, l’attore ha dichiarato:

“Dunque diceva una cosa surreale, perché ieri fino alle 6.02 mi sentivo amico del Papa, fedele esecutore del Papa, e poi ecco il Papa parlando mi dice che non ha più fiducia in me. Non ha più fiducia in me perché gli è venuta la segnalazione dai magistrati che io avrei commesso atti di peculato. Al che gli dissi ammetto che il Santo Padre era molto in difficoltà a dirmi queste cose. Ci soffriva anche lui a dirmele, però ho detto dica. Da indagini fatte apparirebbe che io abbia commesso crimine reato di peculato. Perché? Perché, quando ero sostituto avevo trasmesso alla Caritas Diocesana di Ozieri centomila euro. E queste centomila euro sarebbero poi transitate sul conto di una cooperativa, la Cooperativa SPES, braccio operativo della Caritas, di cui però è presidente mio fratello. Siccome so che nella mia diocesi c’è una situazione di emergenza, soprattutto per la disoccupazione, e la Caritas si dà da fare per questi, ho voluto destinare questi cento mila euro alla Caritas. Io devo dire non capisco come mai vengo accusato di peculato o di favoreggiamento della mia famiglia. Di mio fratello. Perché quei soldi sono ancora li. La cooperativa certo usa soldi ma dell’otto per mille che il vescovo li destina. Poi è tutto documentato. Comunque, ho detto al Santo Padre se lei non ha più fiducia in me io rimetto il mio mandato, io mi dimetto e basta. Sì, il Santo Padre ha accettato le dimissioni. Mi ha detto che accettava dimissioni da Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e poi mi chiedeva di rinunciare ai privilegi da Cardinale. [...] Rinnovo la mia fiducia al Santo Padre - dice il cardinale - diventando cardinale ho promesso di dare la vita per la Chiesa e per il Papa".

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10.12 e alle ore 15.44 del 24 settembre 2020, entrambi quindi in anticipo, rispettivamente, di circa 8 e 3 ore sulle sue effettive dimissioni, avvenute durante il colloquio riservato con il Papa, tenuto alle ore 18 di quello stesso giorno.

Per provare detta pubblicazione on line (della notizia delle sue dimissioni, ancora non avvenute) ha allegato una copia autentica del “codice sorgente” (della pubblicazione on line) dei due articoli citati con “l’autenticazione” da parte del notaio dott. Emanuele De Micheli (rispetto ai quali ha domandato al Tribunale di effettuarsi CTU informatica di verifica) e ha chiesto l’ammissione di prova orale (v. cap. da 1 a 10 della memoria ex art. 183, 6° comma, n. 2, c.p.c.).

Ebbene, tali richieste di prova sono inammissibili in quanto tendenti a dimostrare un accadimento francamente inverosimile (ossia che l’Espresso conoscesse la circostanza delle dimissioni dell’attore prima che lui stesso si determinasse a presentarle al Papa) e comunque ininfluente ai fini del decidere, in quanto non si rinviene alcuna efficacia causale diretta tra la condotta ascritta e il danno-conseguenza dedotto, non potendosi ragionevolmente escludere, visto il progredire dell’indagine della magistratura dello Stato Vaticano poi confluita nelle citazioni a giudizio che hanno coinvolto anche l’attore, che - anche senza tale presunta anticipazione - l’evento indesiderato (dimissioni / licenziamento) non si sarebbe comunque prodotto in un momento successivo.

In tale contesto, il contenuto dell’intervista del dott. Maurizio Molinari, direttore responsabile de “la Repubblica”, avvenuta durante

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la trasmissione Omnibus di La7 della mattina del 25.09.2020 (il giorno dopo le dimissioni), ove egli sostiene che il cardinale Becciu sia venuto in possesso anticipatamente di una copia cartacea dell’articolo di Coccia in uscita il 27.09.2020 e che per tale ragione si sia determinato a dimettersi prima della pubblicazione in edicola, non appare come confermativa della tesi della difesa dell’attore, bensì deve essere letto come un’opinione personale / supposizione del dott. Molinari.

Infine, la pretesa di provare la fondatezza della propria tesi attraverso il contenuto degli articoli pubblicati in data 22.08.2022 da Il Messaggero e il 23.08.2022 da L’Avvenire, riportato nella memoria di replica dell’attore, appare bizzarra oltre che processualmente errata.

A ciò si aggiunga che - in ogni caso, ed a monte delle sopra esposte considerazioni - la pretesa risarcitoria fatta valere dall’attore risulta infondata per non rientrare la condotta censurata nel sinallagma della responsabilità extracontrattuale (o aquiliana) disciplinata dall’art. 2043 c.c.: il fatto illecito dal quale deriva l’obbligo di risarcimento è qualunque fatto doloso o colposo, antigiuridico, che cagiona ad altri un danno ingiusto, al di fuori di uno specifico rapporto contrattuale tra danneggiante e danneggiato; pertanto, non sussistendo in concreto l’illiceità ovvero l’antigiuridicità della condotta ipotizzata (i.e. l’anticipazione della notizia), di per sé lecita, non è invocabile la tutela risarcitoria dedotta.

Il secondo motivo di doglianza attiene alla dedotta

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diffamazione mezzo stampa avvenuta mediante

1) la pubblicazione sull’edizione cartacea de L’Espresso del

27 settembre 2020 di articolo dal titolo “La spada di Francesco sui corrotti” a firma di Massimiliano Coccia;

2) la pubblicazione sull’edizione cartacea de L’Espresso del 4 ottobre 2020 di articolo dal titolo “Inganno a Francesco” a firma di Massimiliano Coccia;

3) la pubblicazione sull’edizione cartacea de L’Espresso dell’11 ottobre 2020 di articolo dal titolo “Sua eminenza petrolifera” a firma di Massimiliano Coccia;

4) la pubblicazione sull’edizione cartacea de L’Espresso del 18 ottobre 2020 di articolo dal titolo “Un Vaticano parallelo” a firma di Massimiliano Coccia;

5) la pubblicazione sull’edizione cartacea de L’Espresso del 1 novembre 2020 di articolo dal titolo “Ricatto a San Pietro” a firma di Massimiliano Coccia.

Secondo la prospettazione della difesa dell’attore, tali pubblicazioni (dal contenuto falso e tendenzioso) avrebbero costituito un’operazione di “killeraggio mediatico”, architettata dall’Espresso, per minare la reputazione, l’immagine e il decoro del cardinale Becciu e della sua famiglia.

La difesa dei convenuti ha, invece, sottolineato la circostanza che gli articoli in oggetto sono il frutto di giornalismo d’inchiesta, che propone una propria lettura critica di fatti e di vicende – emerse nel corso della carriera del cardinale Becciu – oggetto dell’indagine della

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magistratura vaticana, poi confluita nella richiesta di emissione di decreto di citazione del 25 gennaio 2022, avente come imputato, tra gli altri, il cardinale Becciu.

Tutto ciò premesso con riferimento alle posizioni delle parti, è fondamentale chiarire che il giudizio a cui questo Tribunale è chiamato a pronunciarsi non è la correttezza dell’operato del cardinale Becciu nell’ambito delle accuse a lui rivolte dall’autorità giudiziaria dello Stato Vaticano (oggetto del procedimento vaticano in corso, al quale questo procedimento non può certo sovrapporsi nell’accertamento dei fatti), ma, viceversa, la correttezza dell’operato giornalistico dell’Espresso rispetto al contenuto degli articoli sopra richiamati (con particolare riferimento all’articolo del 27 settembre 2020, oggetto delle maggiori censure da parte dell’attore).

Prima di entrare nel merito, pare anzitutto necessario premettere brevi cenni ai principi elaborati dalla giurisprudenza italiana ed europea in tema di bilanciamento tra il diritto all’onore e il diritto alla libera manifestazione del pensiero, i quali verranno posti a fondamento della decisione della presente vertenza.

Il diritto all’onore, al decoro e alla reputazione è riconosciuto quale valore sociale della persona strettamente connesso al concetto di inviolabile di dignità dell’uomo, consacrato, nel nostro ordinamento, all’art. 2 della Costituzione e, in ambito internazionale e sovranazionale, dall’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, dall’art. 12 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dall’art. 17 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici,

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RG n. 3138/2020 Repert. n. 2148/2022 del 23/11/2022

ratificato in Italia con legge n. 881/1977.

Il diritto di manifestazione del pensiero è garantito dalle

disposizioni di cui all'art. 21 comma 1 della Costituzione, che prevede il diritto di utilizzare ogni mezzo allo scopo di portare l’espressione del pensiero a conoscenza del massimo numero di persone (Corte costituzionale. n. 1/1956; n. 105/72; n. 225/74; n. 94/77; n. 1/181) e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (all’art. 10, mutuato dall’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e ampliato dall'art. 19 del Patto internazionale di relativo ai diritti civili e politici, ratificato in Italia con legge n. 881/77) che lo consacrano come uno tra i più importanti diritti dell'individuo.

La necessità di operare un bilanciamento tra siffatti interessi fondamentali si apprezza segnatamente nell’ambito della cronaca e della critica giornalistica, ove la normativa di riferimento (legge. n. 47/1948) riconosce a ciascun soggetto il diritto di diffondere, tramite la stampa, notizie e commenti, così come garantito dalle disposizioni costituzionali e convenzionali.

Invero, la libertà di diffusione del pensiero non riguarda solo le informazioni e opinioni neutre o inoffensive, ma anche quelle che possano colpire negativamente l’immagine di soggetti terzi coinvolti nella notizia, “essendo ciò richiesto dal pluralismo, dalla tolleranza e dallo spirito di apertura senza i quali non si ha una società democratica” (v. Corte EDU sentenza del 7/12/1976, Handyside/Regno Unito; Corte EDU sentenza del 8/7/1986 caso Lingens/Austria; v. Corte EDU sentenza del 24/9/2013 caso

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- 13 -Sentenza n. 1169/2022 pubbl. il 21/11/2022 RG n. 3138/2020 Repert. n. 2148/2022 del 23/11/2022

Belpietro/Italia).

Secondo la giurisprudenza ormai costante (inaugurata dalla

nota sentenza della Cassazione civile, sez. I, 18 ottobre 1984, n. 5259 - c.d. “decalogo del giornalista”), il diritto di informazione (nella sua declinazione di diritto di informare e di essere informati) costituisce ed integra una “causa di giustificazione”, prevista nel nostro ordinamento, nell’ambito di un equo bilanciamento con la tutela dell’onore e della reputazione altrui, diritti parimenti inviolabili e potenzialmente in conflitto, purché ricorrano tre condizioni:

A) la verità (oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) delle notizie (cfr. Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 25157 del 14/10/2008, Rv. 605477 - 01);

B) la forma “civile” dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione (criterio c.d. della continenza), in modo non eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire, improntata a serena obiettività almeno nel senso di escludere il preconcetto intento denigratorio e, comunque, in ogni caso rispettosa di quel minimo di dignità cui ha sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, così da non essere mai consentita l’offesa triviale o irridente (cfr Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 25157 del 14/10/2008, Rv. 605477 - 01), con l’onere quindi di verificare se nel caso concreto “i toni utilizzati dall’agente, pur aspri e forti, (...) siano gravemente infamanti e gratuiti” (Cass. pen., Sez. 5, n. 4853 del 18/11/2016 - dep. 01/02/2017, Fava, Rv. 26909301 e Cass. pen., Sez. 5, n. 5638 del 16/01/2015 - dep. 05/02/2015, Pg e pc in proc. Sarzanini e altro,

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- 14 -Sentenza n. 1169/2022 pubbl. il 21/11/2022

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Rv. 26346701) o se trattasi di mere “coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purché tali modalità espressive siano proporzionate e funzionali all'opinione o alla protesta, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi” (Cass. pen., Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014 - dep. 20/08/2014, P.M in proc. Surano, Rv. 26112201), soppesando “se il ricorso ad aggettivi o frasi particolarmente aspri sia o meno funzionale all’economia dell’articolo” (Cass. pen., Sez. 5, n. 11950 del 08/02/2005 - dep. 25/03/2005, Marcenaro ed altri, Rv. 23171101), essendo lecite le espressioni laddove si operi “senza trascendere in attacchi e aggressioni personali diretti a colpire, sul piano individuale, la figura morale del soggetto criticato” (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 839 del 20/01/2015, Rv. 634498 - 01);

C) la sussistenza di un interesse pubblico all’informazione (il criterio della c.d. pertinenza) (Cass. civ., Sez. 3, sentenza n. 25157 del 14/10/2008, Rv. 605477 - 01).

Ciò posto, è doveroso approfondire ulteriormente l’analisi dei principi di diritto applicabili al caso di specie, poiché gli articoli de l’Espresso contestati dall’attore rientrano nella peculiare fattispecie del c.d. giornalismo di inchiesta e di denuncia.

La giurisprudenza di legittimità e di merito (cfr. Cass. 27.2.2013 n. 93372; Cass. 30.08.2019 n. 21855; Cass. 16.02.2021

2 Ove si legge, in motivazione: “il giornalismo di denuncia (...) è tutelato dal principio costituzionale in materia di diritto alla libera manifestazione del pensiero, quando indichi motivatamente e argomentatamente un sospetto di illeciti, con il suggerimento di una direzione di indagine agli organi inquirenti o una denuncia di situazioni oscure che richiedono interventi normativi per potere essere chiarite (...)

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n. 40363; Cass. 09.07.2010 n. 16236; nella giurisprudenza di merito v. Trib. Milano sent. 6742/2018; Trib. Milano sent. 8310/2016; Trib. Roma sent. 4336/2022) ha già avuto l’occasione di affermare che il giornalismo di inchiesta e di denuncia rappresenta una species dell’attività di informazione, nel senso che costituisce nel contempo esercizio di cronaca e di critica4, ove deve essere applicata una

In tale evenienza, escluso il caso in cui il sospetto sia obiettivamente del tutto assurdo, (...) sempre che sussista anche il requisito dell'interesse pubblico all'oggetto della indagine giornalistica, l'operato dell'autore è destinato a ricevere una tutela primaria rispetto all'interesse dell'operatore economico su cui il sospetto è destinato eventualmente a ricadere: e ciò perchè il risvolto del diritto all'espressione del pensiero del giornalista, costituito dal diritto della collettività ad essere informata non solo sulle notizie di cronaca ma anche sui temi sociali di particolare rilievo attinenti alla libertà, alla sicurezza, alla salute e agli altri diritti di interesse generale, sia operativo in concreto: operativo, evidentemente, alla condizione che, come anticipato, il sospetto e la denuncia siano esternati sulla base di elementi obiettivi e rilevanti”.

3 Ove si legge, in motivazione: “Nel giornalismo d'inchiesta occorre valutare non tanto l'attendibilità e la veridicità della notizia quanto piuttosto il rispetto dei doveri deontologici di lealtà e buona fede oltre che la maggiore accuratezza possibile posta dal giornalista nella ricerca delle fonti e della loro attendibilità. La sentenza in esame, pur partendo da condivisibili premesse, è erroneamente pervenuta a ritenere la responsabilità civile del giornalista e dell'editore senza prendere posizione sul rispetto da parte dei medesimi dei menzionati doveri deontologici, ma limitandosi a valorizzare il solo criterio della verità o verosimiglianza della notizia. Dunque, la sentenza ha applicato il parametro valutativo della veridicità della notizia senza considerare che il giornalista intendeva porre in essere un'attività di giornalismo d'inchiesta esprimendo la propria opinione sugli eventi riferiti in forza della libertà di manifestazione del pensiero. La giurisprudenza di questa Corte riconosce ampia tutela ordinamentale al giornalismo d'inchiesta, il quale implica il minor rigoroso apprezzamento della veridicità della notizia e valorizza il rispetto dei doveri deontologici di lealtà e di buona fede unitamente alla maggiore accuratezza possibile nella ricerca delle fonti (Cass., 3, n. 16236 del 9/7/2010). Secondo questa Corte il giornalismo di denuncia è tutelato dal principio costituzionale del diritto alla libera manifestazione del pensiero in contesti in cui sussiste l'interesse pubblico all'oggetto dell'indagine giornalistica ed il diritto della collettività ad essere informata non solo sulle notizie di cronaca ma anche sui temi sociali di particolare rilievo attinenti la libertà, sicurezza salute e ad altri diritti di interesse generale. In questa prospettiva è scriminato il giornalista che eserciti la propria attività mediante la denuncia di sospetti di illeciti, allorquando tali sospetti, secondo un apprezzamento caso per caso riservato al giudice di merito, non siano obiettivamente del tutto assurdi ma risultino espressi in modo motivato e argomentato sulla base di elementi obiettivi e rilevanti (Cass. Pen., 5, n. 9337 del 12/12/2012)”.

4 Con riguardo specificatamente al diritto di critica (giornalistica), la Corte di Cassazione ha affermato che “posto che qualunque critica che concerne persone è idonea a incidere in qualche modo in senso negativo sulla reputazione di

meno rigorosa e comunque diversa applicazione dei tre criteri scriminanti sopra indicati, in quanto - in questo contesto - la narrazione di determinati fatti e notizie (ricercate direttamente dal giornalista attraverso una propria attività di indagine) viene esposta insieme alle opinioni dell’autore dello scritto il quale compie un’attività essenzialmente valutativa, che si traduce generalmente nella manifestazione di un dissenso (cfr. Cass. civ. n. 196/2003).

Nondimeno, il fatto presupposto, da cui trae spunto la valutazione critica dell’autore, deve corrispondere a verità, sebbene non assoluta, ma ragionevolmente putativa (così Cass. civ., sez. III, n. 1939/15): ciò che rileva, in estrema sintesi, è che il nucleo essenziale dei fatti non sia strumentalmente travisato e manipolato; diversamente, la critica si risolverebbe in mera congettura e occasione di dileggio e mistificazione.

In altri termini, nell’esercizio del diritto di critica, il rispetto della verità del fatto assume rilievo limitato, necessariamente affievolito, quale espressione di un’opinione soggettiva, che ha per sua natura carattere congetturale, e che non può, per definizione, pretendersi

qualcuno, escludere il diritto di critica ogniqualvolta leda, sia pure in modo minimo, la reputazione di taluno significherebbe negare il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. Infatti, sostenere una tesi diversa significherebbe affermare che nel nostro ordinamento giuridico è previsto e tutelato il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero solo ed esclusivamente nel caso che questo consista in approvazioni e non in critiche. Pertanto, il diritto di critica può essere esercitato utilizzando espressioni di qualsiasi tipo anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato. Consegue che non è giuridicamente né logicamente corretto sostenere il prevalere del diritto all'onore ed alla reputazione sul diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero in chiave critica, anche in presenza di capacità lesive estremamente ridotte, tali, quindi, da non giustificare in nessun caso detta prevalenza” (cfr. Cass. n. 4545/2012 e Cass. n. 12420/2008).

rigorosamente obiettiva ed asettica (Cass. pen., sez. V, 28/10/2010, n. 4938; Cass. pen., sez. V, n. 7499 del 2000; Cass. pen., sez. V, n. 6493 del 1993 e n. 935 del 1999).

Quanto al criterio della continenza, occorre precisare che nell’opera di valutazione del necessario rapporto di proporzione che deve instaurarsi tra il fatto oggetto di critica e il tenore della stessa, può di regola ammettersi l’uso di un linguaggio vivace, ironico, polemico, aspro e pungente, purché non sia sovrabbondante ai fini del concetto da esprimere, così da non calpestare quel minimo di dignità di cui ogni persona ha diritto (cfr Cass. civ., sez. III, n. 839/2015).

Anche il requisito della pertinenza all’interesse pubblico trova una sua declinazione peculiare in relazione all’esercizio della critica, atteso che viene in rilievo l’interesse dell’opinione pubblica non tanto alla conoscenza del fatto oggetto di critica, quanto della particolare interpretazione del fatto che viene presentata.

Infine, è compito del Giudice declinare tali principi con riferimento all’esame globale del contesto oggetto del giudizio: mentre un individuo privato sconosciuto al pubblico può rivendicare una rigorosa protezione del suo diritto, lo stesso non vale per i personaggi pubblici, per i quali i limiti del commento critico sono più ampi.

Tutto ciò premesso, l’esame e la valutazione delle opposte prospettazioni delle parti non può che partire dall’analisi nel dettaglio del contenuto dell’articolo del 27 settembre 2020 intitolato “la spada

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di Francesco sui corrotti” a firma di Massimiliano Coccia (v. doc. 7 all. atto di citazione), riproduttivo dell’anticipazione già pubblicata nella versione dell’Espresso on line del 25 settembre 2020 intitolato “Ecco perché il cardinale Becciu si è dimesso. Soldi dei poveri al fratello e offshore: le carte dello scandalo. E il papa chiede pulizia”.

L’incipit dell’articolo accenna al caso dell’acquisto da parte del Vaticano dell’immobile di Sloane Avenue 60, a Londra, operazione gestita dal finanziere Enrico Crasso nel periodo in cui Angelo Becciu era Sostituto della Segreteria di Stato (argomento ripreso successivamente – v. infra).

L’articolo prosegue dando conto di una serie di circostanze di “prossimità familiare” tra finanziamenti elargiti dalle casse del Vaticano nel periodo di gestione del cardinale Becciu e soggetti appartenenti alla famiglia di quest’ultimo.

In particolare, l’articolo racconta

- che il cardinale Becciu, quando era Sostituto delle Segreteria di Stato, avrebbe chiesto e ottenuto, per due volte dalla CEI e una volta dall’Obolo di San Pietro, degli importanti finanziamenti in favore della cooperativa “S.P.E.S.”, braccio operativo della Caritas di Ozieri, il cui titolare e rappresentante legale era il fratello Antonino Becciu: l’attore, a riguardo, in atti, ha confermato che vi sia stato un contributo erogato dalla CEI per circa € 600.000,00 a favore della Caritas di Ozieri che partecipa alla cooperativa sociale “S.P.E.S.” (il cui Presidente - e socio lavoratore - è Antonino Becciu), attraverso il Vicepresidente Don Mario Curzu,

Sentenza n. 1169/2022 pubbl. il 21/11/2022

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direttore della Caritas stessa, e che quei denari sono stati in parte destinati (non a fondo perduto ma a titolo di prestito infruttifero) ai progetti della menzionata cooperativa che opera nel territorio sardo per l’inserimento nel mondo del lavoro di persone svantaggiate; l’attore ha anche confermato di aver erogato in qualità di Sostituto della Segreteria di Stato un contributo economico in favore della Diocesi di Ozieri, e che ciò è avvenuto legittimamente a favore e a beneficio delle opere di carità della diocesi;

- che il cardinale Becciu, quando era Nunzio apostolico, aveva affidato dei lavori di falegnameria presso alcune chiese in Angola e a Cuba al fratello Francesco Becciu: l’attore, a riguardo, in atti, ha confermato tali circostanze e ha precisato che ciò non ha comportato per la Santa Sede il pagamento di corrispettivi maggiori (rispetto all’eventuale affidamento dei lavori ad un soggetto diverso);

- che il fratello Mario Becciu ha prodotto, tramite la società Angel’s srl (di cui detiene il 95% delle quote), la birra Pollicina, con importanti movimentazioni di investimenti: l’attore, a riguardo, in atti, ha confermato la circostanza, descrivendola come il frutto di un’autonoma iniziativa imprenditoriale del fratello, riferendo di un investimento ricevuto in capo alla società di complessivi 1 milione e 500 mila euro (di cui 800.000 euro elargiti come prima tranche) proveniente dall’imprenditore angolano Antonio Mosquito (soggetto conosciuto autonomamente da Mario Becciu, benché fosse già noto all’attore visto il pregresso interesse della Segreteria di Stato ad investire nel petrolio in Angola tramite la società Falcon Oil,

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riconducibile appunto al sig. Mosquito), progetto successivamente avvallato dalla partnership con la Caritas di Roma (tramite un accordo intervenuto autonomamente tra il direttore don Benoni e Mario Becciu, secondo il quale il 5% dei ricavi derivanti dalla vendita della birra sarebbero stati devoluti alla predetta associazione) senza alcuna sua intercessione.

In questo filone interpretativo, va inserito anche il passaggio dell’articolo del 11.10.2020, dal titolo “Sua Eminenza Petrolifera”, ove si legge: “Ma c’è un nuovo prodotto realizzato dalla filiera di famiglia Becciu: si tratta dell’olio “Donum Dei” prodotto dalla Sabina Trading Srl, una società fondata dalla moglie di Mario Becciu, la professoressa Anna Rita Colasanti, che ne detiene il 30%, una società a composizione familiare e di medici e docenti, con un bilancio robusto. Al momento non vi è alcun addebito, ma l’innegabile verve imprenditoriale del parentado Becciu continua a tenere sveglia l’attenzione degli investigatori”: l’attore, a riguardo, in atti, ha confermato che sua cognata, Anna Rita Colasanti, detiene parte della società Sabina Trading srl, produttrice dell’olio Donum Dei e ha rilevato la propria estraneità a detta società.

Ebbene, da un esame complessivo delle contestazioni mosse dall’attore in atti si rileva che le circostanze riferite nell’articolo (relative alla “prossimità familiare”) non sono state smentite dall’attore nella loro veridicità, ma anzi sono state rivendicate da quest’ultimo come legittime; pertanto, dato per scontato l’interesse pubblico alla notizia, ciò che l’attore censura, con riferimento ai brani

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in commento, è solo il superamento del limite della c.d. continenza. Al fine di valutare tale profilo, è utile dare conto che nell’articolo in oggetto non vengono attribuite al cardinale Becciu condotte di rilievo penale: i comportamenti riportati vengono anzi espressamente definiti dall’autore come “leciti” e interpretati, nel loro complesso, (testualmente) come “singolari” e “disinvolti”, nel senso di inopportuni rispetto alla carica di potere in quel momento ricoperta dal cardinale, perché tali da far emergere un conflitto di interessi tra il ruolo istituzionale e quello privato del cardinale (testualmente) “al

momento senza implicazioni legali”.

Ebbene, in tale contesto interpretativo si coglie il significato

(critico) di quello che l’autore dell’articolo definisce provocatoriamente il “metodo Becciu”, quale metodo di gestione del potere e delle risorse; non vi è dubbio che tale espressione connoti negativamente la figura del cardinale, ma essa va contestualizzata come manifestazione di legittima polemica basata sulla rivisitazione e sul collegamento di circostanze di fatto che si fondano su un nucleo di verità5, di interesse pubblico, restando irrilevante sua condivisibilità (da parte del lettore, del soggetto criticato, nonché del Tribunale adito).

Nell’ultima parte dell’articolo, viene ripreso l’argomento di apertura, ovvero l’acquisto da parte della Segreteria di Stato della Città del Vaticano del palazzo di Sloane Avenue a Londra;

5 Naturalmente, il requisito della verità non riguarda il giudizio soggettivo espresso dal giornalista, bensì solamente i fatti commentati e criticati da quest’ultimo, come riassunti in precedenza.

argomento riproposto anche nei successivi articoli di inchiesta - contestati dall’attore - pubblicati su L’Espresso del 04.10.2020 dal titolo “Inganno a Francesco” e del 11.10.2020 intitolato “Sua Eminenza petrolifera”.

Rispetto a tale vicenda di speculazione finanziaria e immobiliare, ci si limita a constatare la verità (putativa) della notizia (i.e. la sussistenza - al momento della pubblicazione dell’articolo - di un’ampia indagine della magistratura vaticana, ad ampio raggio rispetto alla vicenda relativa all’acquisto di Sloane Avenue), rispetto alla quale la stampa si era già occupata in precedenza (v. gli articoli pubblicati il 2.10.2019, il 17.10.2019 e il 30.10.2019 da L’Espresso, articolo pubblicato il 18.02.2020 dal Corriere della Sera, articolo pubblicato il 5.06.2020 da La Stampa), frutto di un lavoro di ricerca - ad opera dell’autore dell’articolo - dei fatti esposti, ricavato dallo studio delle proprie fonti: la difesa dei convenuti ha chiarito negli atti di causa che i documenti in possesso della redazione de L’Espresso, da cui sono stati attinti buona parte delle informazioni relative al c.d. affare di Londra, sono (a) la richiesta di assistenza giudiziaria nel procedimento penale prot. n 47/19 R.Gen.Pen. rivolta al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma (v. doc. 13 all alla comparsa di costituzione) e (b) la richiesta di assistenza giudiziaria nel procedimento penale prot. n. 45/19 R.Gen. Pen rivolta al Procuratore Federale del Ministero pubblico della Confederazione Svizzera (v. doc. 14 all alla comparsa di costituzione), a cui si rimanda.

Con riferimento a tale aspetto, è lo stesso attore a dare atto dell’effettiva esistenza di detta indagine della magistratura vaticana (avviata a seguito di due denunce presentate dallo IOR e dal Revisore Generale nel luglio e nell’agosto 2019) e dell’esito della stessa mediante il deposito della nuova richiesta di emissione di decreto di citazione depositata dal Promotore di Giustizia vaticano, avvenuto in data 25.01.2022 (dopo l’annullamento del primo rinvio a giudizio avvenuto nell’ottobre 2021), relativamente al processo penale prot. n. 45/19 Reg. Gen. Pen. pendente avanti al Tribunale Vaticano, che lo vede imputato con riferimento alla violazione dell’art. 218 c.p. (subornazione) di Mons. Alberto Perlasca e alla violazione degli artt. 63, 64, 79 e 168 c.p. (peculato) in favore della cooperativa S.P.E.S.; l’attore contesta, però, che nella ricostruzione della vicenda operata negli articoli in esame gli verrebbe attribuita una responsabilità (penale) per i fatti narrati (di gestione speculativa delle finanze vaticane da parte del finanziere/consulente Enrico Crasso e di intercessione tra quest’ultimo e altri personaggi rientranti nell’inchiesta, ossia Lorenzo Vangelisti, ceo del Gruppo Valeur e Alessandro Noceti, direttore di Valeur capital), rispetto ai quali egli, invece, sarebbe totalmente estraneo.

Ebbene, non essendo questa la sede per valutare l’estraneità o meno dell’attore dalla complessa vicenda in esame (e ciò a prescindere della presa d’atto delle avvenute imputazioni nel processo vaticano), il Tribunale rileva che l’interpretazione dei fatti offerta dagli articoli in questione - e dunque la ivi prospettata ipotesi

di coinvolgimento del cardinale Becciu (coinvolgimento non di natura penale - in tali termini a lui mai assegnato negli articoli - ma di carattere politico/istituzionale) nell’affare di Sloane Avenue - deve ritenersi del tutto lecita nell’ambito dell’esercizio del diritto di critica sopra delineato, seppur indubbiamente espressa in modo duro, aspro e polemico (ma mai contumelioso) direttamente proporzionale al ruolo di altissimo livello (i.e. Sostituto della Segreteria di Stato) ricoperto dall’attore dal 2011 al 2018 (anni nel corso dei quali è presumibilmente maturato l’affare in oggetto).

L’autore degli articoli ha infatti concepito una propria e personale rielaborazione di una serie di fatti, veri nel loro nucleo essenziale (v. le accuse rivolte a Enrico Crasso), in uno con la presentazione del sospetto di illeciti (relativi a investimenti verso fondi speculativi con sedi in paradisi fiscali) nella gestione delle casse vaticane, che rappresenta una fattispecie (lecita) di denuncia di situazioni meritevoli di approfondimento (quale funzione propria del giornalismo d’inchiesta) ontologicamente distinta dalla nozione di (illecita) attribuzione di un fatto non vero.

Ragionare diversamente, e pretendere la censura a priori del giornalismo esplicato mediante la denuncia di sospetti di illeciti (espressi, come nel caso di specie, senza tradursi nella pura invenzione congetturale) significherebbe degradare, fino ad annullarlo, il concetto stesso di giornalismo di inchiesta e di denuncia (v. Cass. pen., sez. V, 27 febbraio 2013, n. 9337).

Le stesse valutazioni vengono compiute - in una prospettiva

di lettura di insieme - per la ricostruzione offerta dall’autore (v. contenuto dell’articolo dal titolo “Sua eminenza petrolifera” pubblicato dall’Espresso il 11.10.2020) degli investimenti della Segreteria di Stato in obbligazioni della Tullow Oil, nella Glencore Australia Holdings e in obbligazioni della Cooperativa Osa.

In ultimo, l’attore contesta gli articoli pubblicati da L’Espresso il 18 ottobre 2020, dal titolo “Un Vaticano parallelo” ed in data 01 novembre 2020, dal titolo “Ricatto a San Pietro”, a suo dire denigratori e diffamatori della sua immagine “nella parte in cui si paventa una imprecisata ed asserita associazione a delinquere coinvolgente la figura dell’attore nonché una, alquanto, non precisata e non definita relazione dello stesso con la sig.ra Cecilia Marogna”; ebbene, anche in questo caso la notizia, come presentata, seppur avente toni taglienti e velatamente accusatori, non appare diffamatoria se inserita nel contesto di un susseguirsi di notizie (su L’Espresso ma anche da parte di innumerevoli testate giornalistiche, italiane e internazionali) relative all’inchiesta vaticana sulla gestione delle finanze vaticane nell’ultimo decennio, in quanto (al momento della pubblicazione degli articoli in oggetto) era già fatto notorio che la sig.ra Marogna (successivamente arrestata a Milano su mandato internazionale emesso dallo Stato Vaticano) aveva stretto relazioni, accreditandosi come esperta di relazioni diplomatiche e mediatrice nelle crisi internazionali, con la Segreteria di Stato vaticana nel 2016, quando il cardinale Angelo Becciu era Sostituto per gli Affari generali.

Rispetto alle contestazioni 5.2. sub g) (“su Antonio Mosquito e il petrolio angolano”), h) (“sulla nomina dell’attore a Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi”), i) (“il card. George Pell”), m) “il presunto e ipotetico avviso di garanzia”) di cui all’atto di citazione, nulla quaestio non avendo l’attore assolto all’onere di allegazione relativo all’individuazione della condotta asseritamente ritenuta diffamatoria, avendo quest’ultimo richiamato il contenuto degli articoli nel loro complesso e non avendo invece indicato gli specifici passaggi e/o affermazioni che, ad avviso della difesa, sarebbero false e lesive della reputazione dell’attore.

Tanto premesso, la condotta dell’autore degli articoli contestati, Massimiliano Coccia (a nulla rilevando che lo stesso non risulti iscritto all’Albo Unico Nazionale Professionisti e Pubblicisti) non ha rilevanza sul piano dell’illecito extracontrattuale, essendo espressione del diritto costituzionalmente tutelato “di informare ed essere informati”, nel rispetto dei limiti sopra delineati della verità dei fatti, della continenza e della pertinenza.

Ritiene il Tribunale che tali considerazioni abbiano carattere risolutivo e inducano al rigetto della domanda, apparendo quindi superfluo l’esame delle ulteriori domande risarcitorie avanzate da parte attrice.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo, avuto riguardo al valore della causa, alla speditezza del procedimento, alle questioni di fatto e di diritto affrontate e l’attività difensiva prestata dalla difesa dei convenuti in favore di più. soggetti aventi la stessa posizione processuale.

P.Q.M.

il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria domanda, istanza ed eccezione, così provvede:

1) rigetta le domande proposte da BECCIU Giovanni Angelo nei confronti di GEDI GRUPPO EDITORIALE S.P.A., DAMILANO Marco, COCCIA Massimiliano e CODACCI PISANELLI Angiola;

2) condanna BECCIU Giovanni Angelo al pagamento delle spese di lite in favore di GEDI GRUPPO EDITORIALE S.P.A., DAMILANO Marco, COCCIA Massimiliano e CODACCI PISANELLI Angiola che liquida in complessivi € 40.000,00, oltre rimborso forfetario spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A.

Così deciso in Sassari il 21.11.2022

Sentenza n. 1169/2022 pubbl. il 21/11/2022

Il Giudice (Marta Guadalupi)

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