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Diddi su mons. Carlino: “Per difendersi non si può calunniare gli altri”, cioè il Papa e Pena Parra

di Maria Antonietta Calabrò


"L’imputato può dire il falso, ma  per difendersi non può calunniare gli altri”. Dopo aver detto queste parole  riferite a monsignor  Mauro Carlino, segretario prima del sostituto Angelo Becciu e poi del sostituto Pena Parra,  il Promotore di giustizia vaticano Alessandro Diddi ha aggiunto che il suo ufficio valuterà se contestargli un nuovo reato : proprio l’ipotesi di calunnia . La calunnia si sarebbe realizzata nei confronti delll’arcivescovo Pena Parra e anche dello stesso Papa Francesco, perché secondo Diddi, risulta documentalmente provato (anche grazie alle intercettazioni e ai sequestri delle chat ) che Carlino fu  il vero protagonista del versamento  di 15 milioni di euro della Segreteria di Stato, frutto di un’estorsione, a Gianluigi Torzi.

Secondo il Promotore - nella sua penultima giornata di requisitoria - Carlino agì da protagonista e non fu affatto l’esecutore  di ordini altrui, in particolare di Pena Parra. E anzi non si dimostrò fedele  neppure al mandato del Papa che vide in un’unica occasione Torzi  ( “un unicum “) e che diede il suo assenso solo a pagargli il “giusto salario”, ed in particolare le spese, pur di chiudere la vicenda,  ma essendo del tutto ignaro - ha detto Diddi - della pressione estorsiva di Torzi. Tanto è vero che pochi mesi dopo l’esorbitante pagamento ( 2 maggio 2019) fu lo stesso Papa Francesco quando ricevette il vero quadro della situazione dal Revisore generale che gli disse di non avere remore a presentare denuncia alla magistratura vaticana ( e fu una delle due denunce dopo quella dello IOR  ad avviare l’inchiesta giudiziaria).

Perchè Carlino - nonostante il suo presentarsi low profile, come un semplice nuncius  di Pena Parra - in realtà aveva avuto  dal sostituto l’incarico di occuparsi di liquidare Torzi  anche con la ricerca di un nuovo avvocato che tutelasse la Segreteria di Stato e non l’ordine di pagargli qualsiasi cifra.  Pena Parra aveva mille impegni e non stava dietro alla questione su ogni singolo passaggio, del resto Carlino istruiva gli altri su cosa  fare e soprattutto su cosa dire  a Pena Parra.

Lui - ha continuato Diddi - che era un pubblico ufficiale, e doveva denunciare, invece, non lo fece.

Fu  Carlino  a trattare con il Presidente dell’AIF Bruelhart, fu Carlino a prendere accordi con Ferruccio Oriente per mettere sotto controllo il telefonino del direttore generale Mammì, fu lui a prospettare a Pena Parra pericoli dove non c’erano e a nascondergli quelli che c’erano. Addirittura Carlino aveva fatto credere a  Pena Parra che l’Aif avesse il potere di convertire le azioni Gutt di Torzi (quelle con diritto di voto) in azioni della Segreteria di Stato.  Così, come per miracolo, ha detto Diddi . Dalle chat - ha affermato Diddi - si dimostra “la condivisione dell’obbiettivo tra Carlino e Torzi”.   E qui Diddi non ha fatto sconti: “E’ una cosa ignobile - ha affermato - dire che c’era l’autorizzazione del Santo Padre, non sia infangata la Suprema Autorità” . “Con che coscienza si può dire questo, quando gli atti dimostrano l’obbiettivo condiviso di Torzi e Carlino.”

Ps: Tutta la requisitoria del Promotore di Giustizia Diddi come ognuna delle 64 udienze fin qui tenute davanti al Tribunale vaticano presieduto da Giuseppe Pignatone sono state integralmente registrate. Il 25 luglio 2023 , ultimo giorno di requisitoria, Diddi tratterà del caso della cooperativa Spes e della vicenda di Cecilia Marogna.  Il 26 Diddi pronuncerà le sue richieste di condanna nei confronti degli imputati.

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