Il revisore giura sul Vangelo: il Papa non sapeva del Palazzo di Londra
di M.Antonietta Calabrò
Il Papa non sapeva nulla della vicenda di Londra". Né era a conoscenza del fatto che il “tesoro” della Segreteria di Stato ammontasse a quasi un miliardo di dollari. Per acquistare una quota del fondo gestito da Raffaele Mincione, che aveva in pancia il famoso palazzo di Sloane Ave, venne dato in pegno il patrimonio dell’Obolo di San Pietro, ma il contratto di pegno nessuno l’ha mai potuto vedere. "Saltai sulla sedia quando ho visto l’accordo per dare a Torzi il controllo del palazzo", era chiaro che la Santa Sede non aveva nessun diritto di voto.
Al processo vaticano che vede imputate dieci persone tra cui il cardinale Angelo Becciu, ai tempi della conclusione dell’affare sostituto della Segreteria di Stato, è stata la volta del primo testimone, il Revisore generale della Santa Sede e dello Stato vaticano, Alessandro Cassinis Righini, l’autorità dalla cui denuncia, insieme a quella dello Ior, sono partite le indagini. Righini è il primo, in quanto testimone (finora avevano per quasi un anno deposto solo gli imputati) che giura solennemente sul Vangelo di dire la verità. E la verità che emerge dalle domande dal promotore di giustizia aggiunto Roberto Zannotti e dell’avvocato di parte civile Ior Roberto Lipari, e anche dalle domande dei difensori degli imputati, è stata impressionante.
Nel settembre 2018 – ha resto noto Cassinis Righini – apparvero immediatamente cose strane, che divennero oggetto della mia segnalazione. Mancavano le perizie indipendenti sul valore dell’immobile, le relazioni sui rapporti con le banche, i bilanci: pur essendo stati più volte chiesti, non ci venivano mai forniti. Soprattutto era un problema di competenza: la contabilità era un disastro, non si capiva assolutamente nulla”. In particolare, ha aggiunto il revisore, mancava il “contratto di pegno” con il Credit Swisse, con cui la Segretaria di Stato dava in pegno parte del suo patrimonio per avere le risorse per procedere all’acquisto dell’immobile. A detta di Righini, la cifra impegnata dalla Santa Sede per l’operazione ammontava a 564 milioni di euro: una somma enorme, molto superiore a quanto era noto finora.
La "revisione specifica" richiesta dal Papa al momento dell’uscita di Becciu aveva anche portato alla luce che la disponibilità di allora della Segreteria di Stato era di 928 milioni di euro ("Ne erano al corrente i superiori, ma il Papa sicuramente no") e, di questi, 750 milioni erano versati in istituti bancari fuori dal Vaticano, in particolare il Credit Suisse, prima della chiusura per attività di riciclaggio quasi 300 milioni erano presso Bsi. "Le risposte che ci venivano date era che storicamente, dagli anni '90, c'erano rapporti col rappresentante in Italia del Credit Enrico Crasso", ha spiegato Righini. E sul fatto che gli strumenti d'investimento "concentravano il rischio e duplicavano i costi - con le doppie commissioni dei fondi chiusi - venivano date risposte evasive".
"Si trattava di prodotti speculativi, senza una quotazione di mercato trasparente. prodotti non facilmente negoziabili né vendibili, non 'liquidi' ma di particolare 'viscosità'". E sul fatto che allora non si seguivano particolari criteri etici negli investimenti - resi obbligatori solo nel giugno scorso - Cassinis ha rievocato che "anche l'Apsa aveva investimenti contrari alla Dottrina sociale della Chiesa, in particolare in case produttrici di anticoncezionali e della pillola del giorno dopo. Noi allora lo facemmo presente e subito hanno provveduto a vendere". Un investimento della Segreteria di Stato riguardava un fondo proprietario di una fabbrica di armi.
Alla domanda della parte civile Ior, in punta di diritto canonico, e cioè se l’Ordinario, quindi in questo caso il Papa, fosse al corrente degli investimenti con Mincione e del braccio di ferro che ci fu per evitare la revisione sulla Segreteria di Stato da parte della società Pwc, il difensore di Becciu (oggi in Aula insieme a mons. Carlino e all’ex addetto amministrativo Tirabassi) Fabio Viglione ha replicato ricordando che nel 2016 il Papa, proprio in seguito alla querelle su Pwc, aveva firmato un Rescritto consegnato al segretario di Stato, Pietro Parolin. In esso si ribadiva la piena autonomia finanziaria del Dicastero. “Di rescritti ne sono girati diversi, questo non me lo ricordo”, ha risposto il teste.
In ogni modo venivano utilizzati strumenti d'investimento 'non liquidi', non quotati, di difficile visibilità e valutazione dall'esterno, fondi chiusi, una specie di 'hedge fund', peraltro con persone in conflitto d'interessi. "Non era quello il modo di usare i soldi dell'Obolo di San Pietro! Per il quale c'è la giornata di raccolta delle offerte dei fedeli destinate alla carità del Papa e al sostentamento della Curia" ha detto il revisore Cassinis Righini. “Non è che bisognava aspettare che fossero formalmente vietati, la Dottrina della Chiesa è chiara”.
L'aggiunto Zannotti ha chiesto esplicitamente a Cassinis degli investimenti della Segreteria di Stato sul Fondo Athena, domandandogli se il Papa ne fosse al corrente: “Per quello che mi risulta, no”, ha risposto il testimone, certificando anche che “l’operazione ha determinato un’ingente perdita”.
Fin dal 26 novembre 2018, inoltre, il Revisore aveva segnalato che nel contratto, l’agreement firmato da monsignor Alberto Perlasca, per passare dal fondo di Mincione a quello di Gianluigi Torzi, quest'ultimo manteneva mille azioni con diritto di voto, a discapito della Segreteria di Stato, con tutte le conseguenze che ne derivarono. "Allora suggerimmo di non dare esecuzione all'accordo, che invece fu chiuso il 3 dicembre - ha concluso Cassinis Righini -. Ma perché tutta quella fretta?". Monsignor Perlasca sarà chiamato a deporre come teste dal Promotore di Giustizia Alessandro Diddi nelle prossime udienze.
Come ha rivelato Papa Francesco sul volo di rientro dall'Estremo Oriente il 26 novembre 2019, fu lo stesso Pontefice ad autorizzare Righini a doorgere denuncia al Promotore di Giustizia . Senza tanti giri di parole Francesco ha dichiarato che “hanno fatto cose che non sembrano pulite. Ma la denuncia non è venuta da fuori. Quella riforma della metodologia economica che aveva già iniziato Benedetto XVI è andata avanti ed è stato il Revisore dei conti interno a dire: qui c’è una cosa brutta, qui c’è qualcosa che non funziona”. Il Papa svelò allora come è andata. Facendo emergere il suo ruolo in prima linea. Il Papa ha poi raccontato l’incontro con il Revisore: ”È venuto da me. Gli ho detto: “Lei è sicuro?”... “Sì, cosa debbo fare?”... “C’è la giustizia vaticana, vada e faccia la denuncia al Promotore giustizia. In questo io sono rimasto contento, perché si vede che l’amministrazione vaticana ha le risorse per chiarire le cose brutte che succedono dentro, come in questo caso, che se non è il caso dell’immobile di Londra, perché ancora questo non è chiaro, ma lì c’erano casi di corruzione”.
Update dell'articolo pubblicato il 30/10/2022 su Huffpost.it
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