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La scomparsa di Emanuela Orlandi e le “misure attive”

di Maria Antonietta Calabrò



Secondo un’analisi scientifica elaborata grazie a un software su dati ufficiali della Questura di Roma, tra maggio e giugno del 1983 (quando sparì Emanuela Orlandi) è stato riscontrato un elevato numero di casi di ragazze di età media di poco maggiore di 15 anni (di 15,7 anni per essere precisi) scomparse e non più ritrovate. A Roma in pieno centro, entro pochi chilometri dal Vaticano. Tutte scomparse in un arco temporale e in uno spazio geografico limitato. Tutte di sesso femminile.

Considerando anche l’anno 1982, risultano esserci state 6 scomparse a una distanza di massimo di 2,5 km dal luogo in cui “la ragazza con la fascetta” è stata vista per l’ultima volta (Corso Rinascimento, a pochi metri dal Senato). Se si allarga la mappa a una distanza di 5 kilometri dal Vaticano, i casi risultano essere stati in tutto 15.

Sono questi i risultati clamorosi di una indagine scientifica commissionata dall’avvocato Ivan Biscotti (specialista di cold case) a una società di indagine  “Neuro Intelligence“ di Varese. Si tratta di un’analisi dei dati che la polizia giudiziaria inviò al pm Domenico Sica, all’epoca punta di diamante della Procura di Roma, e titolare della prima inchiesta sulla scomparsa di Emanuela. Chi non ha mai creduto all’ipotesi di Emanuela vittima di un sequestro, è Pino Nicotri, giornalista, e autore del libro “Emanuela Orlandi, il rapimento che non c’è” (Baldini e Castoldi) che contiene molti particolari e testimonianze che aiutano a inquadrare il caso. Mentre una dedica del libro riguarda i ragazzi scomparsi i cui casi non sono stato portati all’attenzione dell’opinione pubblica, perché “non risiedevano in Vaticano”. Casi in gran parte collegati all’ambiente familiare o alla cerchia delle amicizie, e secondo Nicotri, alle esuberanze della pubertà. I nuovi documenti che il Promotore di giustizia vaticano Alessandro Diddi ha confermato mercoledì di aver consegnato alla Procura di Roma con il vincolo del segreto istruttorio, riguardano anche “un parente“ di Emanuela, lo zio, Mario, visto che la Santa Sede -ha dichiarato il portavoce Matteo Bruni- condivide il desiderio della famiglia di arrivare alla verità sui fatti e a tal fine auspica che tutte le ipotesi di indagine vengano esplorate”.

Nel libro di Nicotri (che di recente è stato ascoltato in qualità di testimone da Diddi, come ha rivelato lui stesso al TG1) sono anche ricordate molte circostanze di cui si era persa traccia. Per esempio viene sottolineato che la ragazza sparì mentre Papa Giovanni Paolo II era in Polonia. O in base ad atti giudiziari, viene smontato il collegamento della scomparsa di Emanuela con quella di Mirella Gregori. Secondo Nicotri è anche senza fondamento una “notizia“ veicolata pochi anni fa da monsignor Carlo Maria Viganò, l’ex nunzio negli Stati Uniti, spina nel fianco prima di Benedetto XVI e poi di Francesco. Viganò ha aspettato a tirarla fuori il 1 novembre 2019, ben 36 anni dopo, “rivelando” l’esistenza di una telefonata che sarebbe arrivata in Vaticano da parte dei presunti “rapitori”. Un giornalista polacco, riferisce Nicotri, ha smentito invece contatti il 22 giugno 1983 tra Viganò e il portavoce papale Panciroli. Le parole di Viganò sono state utili a “rafforzare”, in anni recenti, la tesi del “sequestro”. 

Interessante dunque il tentativo di debunking di Nicotri, cioè di “sfatare” il caso e la sua mitologia. Meno convincente è, però, ridurre il clamore mediatico solo a megalomania, interessi editoriali (si vendono libri e giornali, serie tv) e così via. Il fatto va distinto dalla sua rappresentazione, o meglio dalla sua “gestione”. E questo è certo. Ma quest’ultima ha a che fare anche con quelle che Thomas Rid, politologo e professore di studi strategici alla Johns Hopkins University, -considerato tra i maggiori esperti al mondo di cybersecurity e delle implicazioni politiche di intelligence, spionaggio e hacking- ha definito nel suo lavoro più significativo “misure attive”. Come si può riscontrare anche nei penultimi sviluppi del caso Orlandi(per esempio in relazione alla pista sessuale contro Wojtyla).

Cioè di “una disinformazione professionale organizzata” di cui molti potrebbero essere vittime inconsapevoli. O anche no. Quarant’anni dopo, in ogni caso l’opinione pubblica ha bisogno di comprendere non solo quello che è accaduto a Emanuela allora, ma anche quello che sta continuando ad accadere oggi. E perché.



Pubblicato il 13 luglio 2023 su Huffpost.it

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